lunedì 5 marzo 2018

Populismi e cadaveri


La sinistra cadavere di Augusto Bassi

Seguire la maratona Elezioni 2018 di Enrico Mentana a volume alzato è stato superfluo. Si sarebbe rivelato sufficiente osservare i volti del ricco parterre per comprendere con vividezza l’andamento degli exit poll. Già torvi e un po’ scrofolosi per natura, si facevano tesi, poi allarmati, quindi sconsolati, infine sepolcrali. Il pensiero levogiro, antiorario al senno, testimone in diretta della propria morte. Che macabra pagina di televisione verità! E via via che i dati si facevano indiscutibili, i malcapitati sono stati chiamati a riconoscerne il cadavere. Gente che ha sempre capito nulla, per lustri e fino a pochi minuti prima dei risultati elettorali, come Annunziata, Giannini, Sorgi, Cerasa, in diretta a commentare il trapasso delle proprie stesse sentenze. Ma se il piglio di Mentana – in grandissima forma per tutta la nottata, fino a dragare la venustà della Dragotto con aria da stracciamutande emerito – si è mantenuto friccicarello malgrado il cordoglio in studio, il volume è servito per intercettare i flebili aliti dei traumatizzati ospiti. La chiacchiera tremolante di Giannini, fino a ieri sprezzante verso i populismi, intraprende l’operazione di riabilitazione dell’insulto, affrancandolo in «popolarismi»; Marco Damilano, aggrappato a una conversione pro-sistema dei 5Stelle, si dichiara sorpreso dall’avanzare della Lega nelle periferie metropolitane; Sorgi scompare inghiottito dal suo tablet, per poi riemergere con il titolo «Vince Di Maio, Italia ingovernabile». Cazzullo, dall’inflessione sua, ci ricorda dell’esistenza dei mercati, della grande Europa, mentre gli elettori italiani hanno appena risposto con meno Europa e un eloquente sticazzi! dei mercati. Per il bene della stabilità, gli scambisti non vorrebbero si votasse; malauguratamente per loro, una volta ogni tanto anche da noi si va alle urne… e può succedere che un pernacchione elettorale li destabilizzi. Irriverente Benedetto Della Vedova, intervenuto a commentare la sciagura della Bonino, che si vende come coraggioso ambasciatore anti-mainstream. Irresistibile osservare l’Annunziata che prende appunti con il lapis sull’agendina di una disfatta scolpita nella pietra con una verga di boro, e imperterrita commenta con il tono di chi la spiega. Lucia bacchetta addirittura Marine Le Pen, festante su Twitter per una consultazione italiana aculeo nel culo flaccido di Bruxelles, suggerendole di star buona perché trombata a casa propria e aggiungendo: «Ci vorrebbe un po’ di sale in zucca sulle previsioni e chi le fa». Se l’inclemente conduttrice applicasse a se stessa i parametri che riserva agli altri, oggi venderebbe carciofi e zucchine a Osci e Sanniti.

Per fortuna arriva Alessandra Sardoni, in diretta dalla sede del Partito Democratico, che sembra balbettare in un regime di quarantena, coraggiosa inviata sulla scena di una terrificante pandemia. «Siamo un grande partito», «A Renzi e alla classe dirigente del PD non c’è alternativa credibile per gli italiani», erano soliti tuonare da quelle stanze e dalle testate assoldatine. Mecojoni! Il Bomba, futuro senatore del Senato che voleva abolire, dopo aver accusato gli avversari di scappare dal confronto, assorbe con il medesimo ardimento il tracollo, arrivando per commentare a caldo la sconfitta con la baldanza di un coniglio palomino. L’indispensabile, la necessaria classe dirigente – dei Gentiloni, dei Minniti, dei Gori, dei Franceschini, dei Rosato, dei Martina, dei Poletti – è stata trattata dai votanti come pattume pronto per l’inceneritore. L’eredità culturale dell’assemblea costituente ha uno scatto d’orgoglio solo nel padre nobile del partito, nell’immarcescibile campione della sinistra di governo, Pier Ferdinando Casini, che trionfa disdegnoso nella sua Bologna. Nel frattempo, la marea nera che doveva investire l’Italia, gli inquietanti rigurgiti neofascisti pronti a deflagrare, i temibilissimi blitz di Forza Nuova e Casa Pound raccontate sulla stampa dai GEDI, via radio da Vittorio Zucconi e in tv da Corrado Formigli, stanno sotto l’1%: perché “la realtà è la loro passione”. Di Stefano si vede per la prima volta in un salotto di Mentana, benché in collegamento, e si lamenta di essere stato trascurato dai media durante tutta la campagna elettorale. Risposte piccate in studio, specie da una Lucia molto indispettita. I sobillatori di mestiere che hanno tirato la volata ai propri campioncini di triciclo fino a un traguardo di paracarri, oracoleggiano ora sui futuri scenari, sugli equilibri di domani, sulla temperie a venire, smarcandosi dalla putrefazione con guizzi alla Margheritoni. E sempre indietro come la coda del maiale. In chiusura, un minuto di silenzio per Morti e uguali, come anticipato l’11 febbraio in questi quaderni. Boldrini, Bersani, D’Alema, Grasso… dal regno della pace e della serenità veglieranno sui propri cari.

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