lunedì 13 maggio 2013

Imbrogli


La storia di violenza di Mada Kabobo, il trentunenne ghanese arrivato in Italia nel 2011 che si è reso protagonista di una «mattanza», apre interrogativi sulle richieste d'asilo nel nostro Paese; in particolare sulle degenerazioni e zone d'ombra che il sistema di protezione istituito nel 2002 contiene, nonostante la nobiltà del principio. L'accoglienza dei «rifugiati» è infatti una questione che in Italia si sviluppa su più livelli: dal momento dell'ingresso - che più frequentemente avviene via mare (59%) - in cui l'immigrato può presentare domanda, si apre un canale con lo Stato, le autorità e via via con gli organismi che intervengono durante il periodo di valutazione della richiesta. Enti locali e terzo settore per ciò che riguarda l'aspetto strutturale - alloggio, cura, indirizzo occupazionale, formazione - e, nel mentre, una serie di progetti dell'Anci finanziati con risorse straordinarie dell'8 per mille Irpef. Nel 2012 ci sono state 15.715 richieste d'asilo, in calo rispetto al 2011 (37.350); 8.260 persone (37,3%) hanno ottenuto una forma di protezione; 1.915 (8,6%) lo status di rifugiato, 4.410 (20,3%) la cosiddetta «sussidiaria», 1.935 (8.9%) un permesso per motivi umanitari. Alcuni hanno a disposizione circa 17 euro per 45 giorni e degli appartamenti appositi: una commissione, solitamente regionale, stabilisce chi ne ha diritto.

Altri attendono la risposta in centri di accoglienza e, all'arrivo della risposta, positiva o negativa, decidono cosa fare: se essere rimpatriati a carico dello Stato «ospitante»; se chiedere la proroga del permesso di soggiorno temporaneo della durata di tre mesi per cercare fortuna nell'area Schengen - sostanzialmente cambiando la motivazione iniziale con cui hanno chiesto di avere accesso al nostro Paese - oppure se diventare clandestini a piede libero, perché di fatto diventano «inespellibili» in caso di ricorso in tribunale. La legge è un colabrodo pieno di occasione per ottenere la proroga: ricerca di lavoro (30%), precarie condizioni di salute (21%), proseguimento di corsi e tirocini formativi (20%), cause di ordine amministrativo (12%), ricerca di un alloggio (10%) o completamento di borse lavoro (7%). L'immigrato, a quel punto, non è più un richiedente asilo. Ma non può neppure essere allontanato prima della definizione giuridica della propria vicenda. Come nel caso di Kabobo, che dopo la bocciatura da «rifugiato» ha ottenuto un permesso temporaneo, non rinnovato.

L'anno scorso, 13.900 richiedenti asilo hanno ottenuto il diniego. Secondo un documento della polizia federale tedesca sarebbero invece oltre 5mila i migranti che si sono avvalsi di un contributo di 500 euro per lasciare l'Italia. «Invece di chiudere i centri di accoglienza e di spingerne gli abitanti a proseguire la migrazione verso altri Stati dell'Ue, l'Italia deve espellere nei Paesi d'origine coloro che non hanno diritto all'asilo, perché immigrati per ragioni economiche», ha detto due mesi fa il ministro dell'Interno tedesco, denunciando questa degenerazione. I soldi pubblici, per i richiedenti, solitamente sono messi a disposizione direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Ma, come abbiamo visto, ci sono deviazioni possibili durante il percorso della domanda da «rifugiato». Una trafila in cui l'immigrato può «perdersi» o addirittura successivamente disperdersi nel territorio nazionale o nell'area Schengen. O collezionare precedenti che vanno dai reati contro il patrimonio, al danneggiamento, alla resistenza a pubblico ufficiale come Kabobo. Del resto il tempo di valutazione delle domande è di circa sei mesi, ma i ricorsi allungano i tempi a dismisura. Lo Stato nel frattempo provvede anche a finanziare progetti di inserimento. Qualcuno però si dedica ad altro. Anche con un piccone alla mano.

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