venerdì 31 luglio 2009

Il buon talebano

Afghanistan, Il libro è stato distribuito a tutti i mujahideen. Arriva la guida del «buon talebano». «Basta con attacchi in cui si uccidono solo i civili» Le nuove regole sono state volute dal Mullah Omar

KABUL
- In Afghanistan non basta pregare. E nemmeno essere pronti a sacrificare la propria vita per la causa. Perché per essere un buon talebano bisogna rispettare un codice di condotta. Regole per non essere considerati solo dei criminali e , secondo gli studiosi, per cercare di mettere fine alla violenza contro i civili. Ecco perché il Mullah Omar, guida spirituale dei Mujahideen, ha deciso di scrivere un libro (13 capitoli e 67 articoli) da poi distribuire a tutti i combattenti. Una guida che pone come regola principale lo stop «ad attacchi suicida che poi prendono di mira solo gli afgani». Anche perché «è importante vincere la nostra guerra conquistando il cuore e la mente degli afgani».

LA GUIDA- Trovato dai militari della Nato, durante una serie di raid nel Paese, il libro è stato pubblicato a maggio. Si tratta di un codice dal titolo : «Talebani 2009, il libro delle regole e delle norme». Secondo il generale dell'Alleanza atlantica Eric Trembley «sembra più che altro una forma di propaganda per dimostrare che c'è una forma di controllo sull'insurrezione». Ec ecco che tra le regole spunta anche la proibizione di «formare nuovi gruppi o battaglioni irregolari. Tutti devono unirsi al gruppo principale». Cioè quello guidato dal Mullah Omar. Fino ad oggi i comandanti talebani potevano usufruire di una certa libertà d'azione. Ma secondo gli studiosi, questo è un tentativo della guida religiosa di avere tutti i combattenti ai suoi ordini. E soprattutto c'è il tentativo di «isolare i criminali».

GLI ATTACCHI- E allora che cosa bisogna fare per non essere considerato solo dei malviventi? Innanzitutto è necessario mettere un freno ai kamikaze. «Gli attacchi suicidi devono essere mirati a distruggere target importanti. Un bravo figlio dell'Islam non deve essere usato per scopi insignificanti. Governatori e combattenti devono cercare di evitare le morti dei civili e danni alle proprietà». Secondo i generali della Nato questa regola si è resa necessaria da quando nell'ultimo anno sono stati effettuati 90 attentati e il 40 per cento delle vittime sono stati tutti afgani che non c'entravano assolutamente nulla con gli obiettivi.

I PRIGIONIERI- Diversi articoli sono dedicati agli ostaggi. «Quando un ufficiale, un soldato o un lavoratore del governo schiavo viene catturato, questi prigionieri non devono essere feriti. Se è qualcuno di importante il suo omicidio può essere deciso solo dall'Imam». Stesso cosa vale per i sodlato della Nato. Ed è «assolutamente vietato chiedere un riscatto per gli ostaggi».

IL PAESE- Il Mullah Omar sottolinea l'importanza di «riservare un degno trattamento alla nazione, per portare il cuore e lo spirito sempre più vicino a noi». E soprattutto i «Mujahideen devono evitare ogni discriminazione basata sulle origini tribali o la lingua». Come dire: non basta pregare per essere un buon talebano.

Benedetta Argentieri

Contro le bestie islamiche

Souad Sbai va al contrattacco contro i fondamentalisti. Chiede lo scioglimento delle associazioni che l’hanno presa di mira come simbolo dell’apostasia. Da Libero, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo, "Troppe minacce. Una legge contro i fanatici di Allah".

Moderata sì, ma fino a un certo punto, Souad Sbai va al contrattacco contro i fondamentalisti. L’avevano già dichiarata “nemica dell’islam”, condannandola a morte con un video su youtube. Ora la deputata del Pdl di origini marocchine va al contrattacco e chiede lo scioglimento delle associazioni di cui fanno parte coloro che l’hanno presa di mira come simbolo dell’apostasia. Nelle settimane scorse, Libero aveva fatto venire alla luce l’esistenza di «una cellula di stampo jihadista e qaedista che mi ha rivolto esplicite minacce di morte attraverso un filmato agghiacciante», ricorda la Sbai, definendolo «l’ennesimo tentativo di delegittimarmi, attraverso una vera e propria campagna di morte contro i moderati». Come un segugio, ha collaborato con le forze dell’ordine per individuarli, smascherarli e collocarli nel loro ambito operativo: «Gli attacchi sono venuti da un gruppo legato ad un certo Usama El Santawy, 32enne, egiziano. Il signore in questione, cui vengono anche affidati i bambini di certe colonie estive, appartiene ai Giovani Musulmani ed è presumibilmente legato alla moschea di Segrate, il cui presidente è Abu Shwaima, nonché membro esecutivo dell’Ucoii. Voglio ringraziare carabinieri e polizia per l’importante lavoro svolto fin’ora», rivela la parlamentare, che inoltre è in possesso di fotografie e filmati delle persone coinvolte nel complotto contro di lei. Sono altre decine di immagini, che ritraggono alcuni giovani durante campi in montagna e alcuni video, in cui compaiono alcuni nell’atto di pregare in pubblico e diffondere il messaggio coranico davanti a una stazione della metropolitana milanese. Attività non illecite di per sé, a meno che non si tratti di preparativi in vista di una stragegia violenta. Per questo la Sbai ritiene «necessario che tutti coloro che ritengono pericoloso questo tipo di associazioni si dissocino immediatamente e prendano le distanze da gruppi che hanno evidenti intenzioni minacciose e belligeranti». Dopo una lunga militanza come avanguardia delle donne musulmane, dopo essersi battuta in difesa dei diritti femminili nei contesti familiari dell’immigrazione, la parlamentare non si limita più a lanciare l’allarme, ma chiede provvedimenti concreti, per il bene comune. Nonostante l’art. 3 della legge sicurezza, ai commi 34, 35 e 36, preveda già lo scioglimento e persino la confisca dei beni ai danni delle associazioni sospettate di svolgere attività terroristiche, la proposta di legge Sbai tende a «impedire che associazioni con chiari intenti jihadisti, e dunque militaristi, trovino campo libero nel nostro Paese», con particolare riguardo al fondamentalismo islamico. Nel mirino, in particolare, il movimento dei Fratelli Musulmani, definito «un’organizzazione islamica radicale», che «riconosce la sharia come legge fondamentale (...), non accetta la democrazia multipartitica, nega le libertà civili e politiche, giustifica l’attività terroristica (...) svolge attività illegale diretta ad interferire nell’esercizio delle funzioni di organi costituzionali». A chiarire meglio le finalità dell’organizzazione, Sbai cita il motto dei Fratelli musulmani: «Allah è il nostro obiettivo. Il Profeta è il nostro capo. Il Corano è la nostra legge. Il jihad è la nostra via. Morire nella via di Allah è la nostra suprema speranza». Sebbene non abbiano una presenza esplicita in Italia, Sbai fa leva sull’art. 18 della Costituzione che, nel promulgare la libertà di associazione (nonchè di culto), «proibisce le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare (jihadista)». E oggi, rileva, «in piena emergenza terroristica di matrice islamica e di fronte all’aumento delle associazioni che si ispirano al movimento terroristico di Al Qaida e all’organizzazione islamica radicale dei Fratelli Musulmani, tale intervento appare ancora più urgente». Un primo cofirmatario c’è già. Fabio Rampelli, deputato del Pdl e membro della Commissione cultura, che aderisce alla proposta di legge Sbai. Chi, nel panorama politico italiano, ha sponsorizzato e coperto le organizzazioni islamiche fondamentaliste, per ora tace.

Put your lights on

Questo esula da ciò che è il blog di solito. Ma in questo periodo di canicola soffocante, posto questo spettacolo di canzone... e forse la ballo pure... Io amo Carlos Santana.

Scosse

Scossa pugliese per Pd e alleati

È successo spesso in passato che gli investigatori, puntando sulle donne abbiano intrappolato uomini che si nascondevano alla giustizia: cherchez la femme. A Bari è accaduto l’esatto contrario. Indagando su alcuni appalti nella sanità che sarebbero stati concessi in cambio di mazzette, la Procura del capoluogo pugliese si è imbattuta in un giro di ragazze che sarebbero state portate, dietro compenso, in almeno un paio di residenze del presidente del Consiglio. Una robusta fornitura di intercettazioni telefoniche e registrazioni ambientali ha fatto girare i riflettori quasi esclusivamente su questo filone, diciamo «indotto», mettendo in ombra quello centrale dell’inchiesta. Che aveva messo fin da subito nel mirino i partiti di centrosinistra, che governano la Regione — presie­duta da Nichi Vendola — e alcune importanti città, Bari in testa. Ascol­tato dai magistrati che si occupano dell’inchiesta (peraltro le indagini sono in realtà ben quattro), lo stes­so Vendola si era detto «al di sopra di ogni sospetto» ma, intanto aveva azzerato la giunta regionale, ricosti­tuendola con alcune immissioni esterne al centrosinistra. Ieri i carabinieri hanno acquisito i bilanci nelle sedi regionali pugliesi di Pd, Socialisti, Prc, Sinistra e Liber­tà e Lista Emiliano (quest’ultima è espressione del sindaco di Bari). Gli accertamenti disposti dal magistra­to riguardano l’ipotesi di illecito fi­nanziamento pubblico ai partiti in ri­ferimento al periodo dal 2005 a og­gi, comprese le ultime elezioni al Co­mune di Bari. Ora, premesso che chi si dice ga­rantista dovrebbe ricordarsi di esser­lo sempre e comunque, c’è da chie­dersi se i pesanti attacchi di tutto il fronte dell’opposizione nei confron­ti del presidente del Consiglio e dei suoi comportamenti — sicuramen­te discutibili — non abbiano talvol­ta voluto coprire i timori per quello che l’inchiesta avrebbe potuto porta­re alla luce. Che il filone parallelo, quello delle ragazze, abbia scoper­chiato un mondo, esigendo l’atten­zione di magistrati e media, resta una circostanza oggi tanto più evi­dente. Ma è altrettanto chiaro che, ove mai le accuse dei magistrati ai partiti di centrosinistra dovessero ri­velarsi fondate, la storia delle ragaz­ze e delle loro serate a Palazzo Gra­zioli e a Villa Certosa diventerebbe un contrappeso inaccettabile anche per il più ardito degli antiberlusco­niani. Nessuna comparazione può fornire alibi a chicchessia. Aspettan­do le conclusioni dell’inchiesta è co­munque un bene evitare giudizi af­frettati. Lasciando ad Antonio Di Pie­tro — lo ha fatto immediatamente anche ieri — il consueto compito giustizialista di ricordare che «i cor­ruttori non hanno colore politico» e che «esiste un unico grande virus dell’illegalità e dell’interesse perso­nale». L’ennesima mazzata ai «colle­ghi» del Pd. Che d’altra parte, a pen­sarci bene, un po’ se la meritano: uniti ancora una volta solo dal collante dell'antiberlusconismo, hanno puntato tutto sugli attacchi ai comportamenti del presidente del Consiglio, senza riuscire però nel contempo ad accreditarsi come forza autorevole e morale. La mancanza di un progetto alternativo di governo, si accompagna a una battaglia per la leadership nel pd che lascia spesso francamente sconcertati. Senza parlare -a apropostio di morale - di quello che potrebbe venire fuori dal groviglio di indagini a Bari.

Antonio Macaluso

Lavaggi cerebrali

Un lavaggio cerebrale insieme rozzo e raffinato, ignorante ed educato. Il lavaggio della tecnica pubblicitaria. Su che cosa si basa, infatti, la tecnica pubblicitaria? Sugli schemi emblematici. Sulle fotografie, sulle battute, sugli slogan. Sulla grafica che attrae lo sguardo, sull'impaginazione che piazza al punto giusto la vignetta ingiusta. Sugli impatti visivi, insomma, sugli shock epidermici cioè irrazionali. Mai sui concetti, mai sui ragionamenti che inducono la gente a riflettere su un'idea o un evento. Pensa allo slogan Viaggio-della-Speranza, ormai più diffuso e martellante di quanto lo fosse il Liberté-Égalité-Fraternité di Napoleone. Pensa all'immagine del mussulmano annegato mentre in barca cercava di raggiungere Lampedusa. D'accordo, a volte il lavaggio cerebrale si basa anche su strategie che sembrano racchiudere un concetto, sollecitare un ragionamento. Sull'intervista straziante, ad esempio. Sull'articolo strappalacrime... Cos'è l'articolo strappa-lacrime? Semplice. È la storia del bambino iracheno o palestinese, mai israeliano, che rimane ucciso o mutilato per colpa di Sharon o di Bush. (Non per colpa di Arafat o Bin Laden o Saddam Hussein. E qui non invocare la par-condicio sennò ti taglian la lingua). Oppure è la storia del Marine scemo che in barba al regolamento sposa la ragazza di Bagdad in più le spiffera segreti militari, sicché il crudele esercito statunitense lo rimanda divorziato in Florida e la poveretta s'ammala di dolore. Oppure è la storia dell'intrepido nigeriano che per venire in Italia supera a piedi il Sahara. Lo supera sotto un sole cocente, sfidando i predoni, marciando per giorni lungo l'ex Via degli Schiavi, (E guai a te se ricordi che a vender gli schiavi erano le tribù africane quindi mussulmane, che a gestire il commercio degli schiavi erano i mercanti arabi, che a chiudere la Via degli Schiavi sarebbero stati i colonialisti fran- cesi e inglesi e belgi, non i seguaci del Corano). Oppure è la storia di Ahmed o Khaled o Rashid che in Italia ha vissuto cinque anni da clandestino, che alla fine è stato espulso da uno sbirro incapace di misericordia, che ora sta di nuovo in Tunisia o in Algeria o in Marocco dove non ha nemmeno una ragazza. Peggio: non ha mai baciato una ragazza. Per baciarla deve sposarla, per sposarla deve avere i soldi, per avere i soldi deve tornare in Italia. Ergo vive nel sogno di sbarcare una seconda volta a Lampedusa e sta sempre sulla spiaggia dove ripete ossessivo: «Tornerò. Le leggi italiane non mi fermeranno. Tornerò». Poi annusa il vento che viene dalla Sicilia, se ne riempie i polmoni, mormora: «Respiro il profumo dell'Italia. Questo vento mi porta il profumo dell'Italia». L'articolo strappa-lacrime è di solito una storia scelta bene e scritta bene, infatti. È un giornalismo elegante, commovente, ricco. Ai bordi della letteratura. Un giornalismo o meglio un'opera di seduzione, di persuasione. Una scienza che invece del ragionamento usa il sentimento. Infatti il lavaggio cerebrale che ne ricevi è in realtà un lavaggio emotivo. Però l'impatto è identico a quello del lavaggio cerebrale esercitato con la vignetta o la fotografia o lo slogan Viaggio-della-Speranza. Anzi è più profondo, più efficace. Perché toccando il cuore neutralizza le tue difese. Spenge la lo gica e al suo posto colloca una pietà analoga a quella che tuo malgrado provi a guardare Saddam Hussein sporco, disorientato, umiliato. Peggio: accende in te un malessere che lì per lì non sai definire ma poi definisci e allora un brivido ti corre lungo la schiena. Perbacco, pensi, sono un occidentale. Non porto mica il burkah o il jalabah, non appartengo mica a un mondo suddito del Dio che per niente compassionevole e per niente misericordioso paragona i cani-infedeli alle scimmie e ai maiali! Appartengo a un mondo civile, raziocinante. Un mondo che riconosce il libero arbitrio. Che al centro dell'Etica pone la Coscienza, il senso di responsabilità, il rispetto del prossimo anche se è un prossimo che non vale un fico... E pur sapendo che Ahmed-Khaled-Rashid non ha mai pronunciato la bella frase che il giornalista gli attribuisce, pur sapendo che con ogni probabilità Ahmed-Khaled-Rashid è un tipaccio uso a spacciar droga e forse un manovale di Al Qaida, pur sospettando che di ragazze ne abbia baciate parecchie, che magari ne abbia messe incinte due o tre, ti senti responsabile del suo destino. Avverti come una tentazione di salvarlo e quasi quasi vorresti affittare subito un motoscafo, precipitarti in Tunisia o in Algeria per caricarlo a bordo, portarlo a Lampedusa, qui telefonare al ministro che non mi ha consegnato in manette alla Svizzera e: «Scusi, Castelli, non potrebbe ospitare questo infelice che ama il profumo dell'Italia e che non ha mai baciato una ragazza? Meglio, non potrebbe fargli sposare sua figlia? Meglio ancora, non potrebbe dargli il voto? Anche politico, ovvio, non solo amministrativo. E visto che c'è, non potrebbe farlo eleggere con la lista della Lega, in nome del pluralismo aiutarlo a diventar deputato o sindaco di Milano, e pazienza se il Duomo ce lo trasforma in una moschea, pazienza se al posto della Madonnina ci mette un minareto?». Reagisci, in breve, come reagii io la sera in cui il bisnipote del re nano cioè il rampollo della famiglia che aveva consegnato l'Italia a Mussolini e che per questo era stata cacciata dal patrio territorio nonché privata della cittadinanza, si fece intervistare alla televisione e con voce straziante esclamò: «Ah, che cosa darei per mangiare una pizza a Napoli!». Non era una gran battuta, no. Non aveva la poesia del Respiroil- Profumo-dell'Italia. Quale argomento per farsi perdonare le colpe degli avi, infatti, mi parve assai debole. Mais chacun dit ce qu'il peut, ciascuno dice quel che può, sospirava Cavour quando gli riferivano le stronzate della Real Casa. E appartenendo a un mondo civile, evoluto, raziocinante, sia pure di malavoglia commentai: «Poveretto, che c'entra lui con le colpe degli avi. Lasciamogliela mangiare a Napoli la fottuta pizza!». Reagisci a quel modo, sì. Subito dopo, però, t'accorgi che la tua coscienza è stata presa in giro. Beffata. Capisci che anche tu sei rimasto vittima del lavaggio cerebrale anzi emotivo, che per un istante anche tu ti sei addormentato. Così apri gli occhi e rivedi la realtà. Rivedi le infinite moschee che soffocano il din-don delle campane. Ad esempio la grande moschea di Roma dove si predica la Guerra Santa contro i medesimi che obbediscono al papale invito dell'accoglienza a oltranza. Rivedi i prepotenti che per pregare invadono le piazze di Torino e le strade di Milano sicché a certe ore lì non puoi camminare come a Marsiglia. Rivedi le Bozze d'Intesa con le loro richieste sfrontate e truffaldine. Rivedi l'impudenza dei capi islamici che nelle assemblee dei fascisti rossi e dei fascisti neri portano i saluti di Allah, elogiano la «resistenza» irachena, sputano sui morti di Nassiriya. Rivedi l'imam di Carmagnola che voleva trasformare la storica cittadina piemontese in una città esclusivamente mussulmana. Rivedi sua moglie che dice: «Vi conquisteremo partorendo figli, voi siete in crescita zero, noi ci raddoppiamo ogni anno, Roma diventerà la capitale dell'Islam». Rivedi la lettera del piccolo industriale che ti scrisse: «Io tengo quattro impiegati mussulmani e ho paura. Non scopriranno mica che mia nonna era ebrea?». Rivedi l'amica che due Pasque fa mandò le uova di Pasqua, le uo va di cioccolata, ai cinque figli della tunisina installatasi con la suocera e i cognati e i cugini nella casa presso la sua. Uova che la tunisina restituì dicendo: «Per noi la vostra Pasqua è un'offesa. Noi i vostri regali di Pasqua non li vogliamo». Rivedi le coscienze spente o addormentate dai lavaggi cerebrali e capisci che in Italia l'ex-clandestino Ahmed- Khaled-Rashid non vuole tornarci per mangiar la pizza come il non-geniale rampollo di casa Savoia. Vuole tornarci per mangiare i nostri principii, i nostri valori, le nostre leggi. Sicché il profumo di cui parla non è un profumo di arance. Tantomeno, un profumo di ragazze da baciare. E il profumo della nostra identità da annullare, distruggere. E dico: «Giovanotto, di quel profumo è rimasto ben poco. Grazie ai tuoi connazionali ed ai miei, la maggior parte di esso è diventato fetore. Ma il poco che è rimasto non ti appartiene. Quindi gira largo. La ragazza da baciare va' a cercartela alla Mecca». Il guaio è che deviarlo alla Mecca non serve più a nulla. Anche senza considerare la Politica del Ventre predicata da Boumedienne e dalla moglie dell'imam espulso, i giochi sono ormai fatti. Nemmeno Sobieskí, l'eroico Sobieski che coi suoi polacchi inneggianti alla Vergine di Czestochowa contribuì quanto nessuno a respingere le orde di Kara Mustafa giunto alle porte di Vienna, potrebbe disfarli. Guardati attorno. Leggi i giornali, ragiona.

La forza della ragione, Oriana Fallaci.

giovedì 30 luglio 2009

Padova

Tunisino picchia due agenti. Il giudice lo rimette in libertà

Cronaca di un ordinario pomeriggio padovano. Alcuni poliziotti beccano, in pieno centro, un tunisino che spaccia droga. Lui li prende a male parole, a sassate, a botte. Finisce in galera, ma soltanto per una notte. Che vuoi che sia per un irregolare, pregiudicato, disoccupato, senza fissa dimora. Un sant'uomo, in fin dei conti. Il giorno dopo c'è un giudice che lo rimette in libertà. Follia? Così sembrerebbe, a giudicare dalla denuncia del Coisp, il coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia. Ha deciso di denunciare il fatto al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, chiedendo un'indagine formale. L'episodio risale al 21 luglio. La polizia fa il solito giro di controllo in Prato della Valle, scenografica piazza che ospita varia umanità a ogni ora del giorno e della notte. Gli agenti scorgono un gruppo di persone che agisce con fare sospetto. Si avvicinano. Quelli fuggono. I poliziotti inseguono uno di loro. Si tratta di uno spacciatore tunisino. Una vecchia conoscenza. L'hanno già arrestato dieci giorni prima: era privo del permesso di soggiorno. Il nordafricano, 28 anni, non reagisce bene. Getta per terra i tre grammi di hashish che probabilmente intendeva commerciare. Tira un sasso contro il parabrezza dell'auto delle forze dell'ordine. Poi, una volta fermato, prende gli agenti a calci e pugni. «Lasciatemi stare!» grida. «Polizia razzista, bastardi, io vi denuncio!». Il solito campionario di improperi ai quali la gente in divisa è ormai abituata. Il tutto accompagnato da finti malori e scene di nervi. I poliziotti non possono limitarsi a rivolgergli la parola con gentilezza: «Carino, ti vorremmo arrestare, ci stai?». Usano maniere energiche per trattenerlo e infilargli le manette. Alla fine, vanno tutti al pronto soccorso. Uno dei due agenti riceve 25 giorni di prognosi per le lesioni. L'altro ne avrà otto, proprio come il tunisino. A lui i dottori riscontrano qualche ematoma e alcuni graffi al collo. Passa la notte in carcere. Il giorno dopo, il caso passa all'esame del giudice monocratico del tribunale di Padova Sonia Bello, nota alle cronache per aver contestato la costituzionalità della legge Bossi-Fini, bloccando un processo. In aula, il nordafricano attacca. Accusa la polizia, sostiene di essere stato picchiato. Parla ma gli gira la testa, perde l'equilibrio, ha conati di vomito. Finge? Il giudice Bello fa chiamare un'ambulanza e non convalida l'arresto. La Procura ha impugnato la decisione: ricorso in Cassazione. Anche i poliziotti non ci stanno. Sono stanchi di veder vanificati i loro sforzi per l'ordine pubblico. La lettera del Coisp (inviata anche al Consiglio superiore della Magistratura, al capo della Polizia Manganelli, a sindaco, prefetto, questore e presidente del tribunale di Padova) utilizza toni durissimi. Non chiama in causa soltanto una città dove, da gennaio a maggio, gli arresti per droga sono stati 371. E dove il primo cittadino di sinistra, Flavio Zanonato, ha varato un'ordinanza anti-spaccio con 500 euro di multa e fatto erigere, alcuni anni fa, un "muro" nell'ex bronx di via Anelli. L'episodio padovano, con le minacce agli agenti e i falsi malori per resistere all'arresto, rappresenta «una storia all'ordine del giorno negli uffici di Polizia di tutta Italia». Purtroppo.

Riporto la lettera del COISP rivolta al ministro dell'Interno, della Giustizia ed al presidente del tribunale di Padova:

Quanto accaduto a Padova nel pomeriggio dello scorso 21 luglio - scrive il Coisp nella lettera che riportiamo integralmente - purtroppo, è una scena già vista e rivista molte volte. Un gruppo di soggetti, alla vista dei poliziotti, si dava alla fuga ed uno spacciatore tunisino, già arrestato 10 giorni prima, veniva inseguito dalla pattuglia. Durante le fasi dell’inseguimento lo straniero lanciava anche un sasso contro il parabrezza dell’auto di servizio, danneggiandolo. Alla fine i poliziotti riuscivano a raggiungere e bloccare il soggetto, il quale opponeva notevole resistenza all’arresto, coinvolgendo in una colluttazione gli Operatori i quali, a fatica, riuscivano ad ammanettarlo. Avendo esaurito ogni altra possibilità, il malvivente passava alle minacce dirette agli Operatori, utilizzando il solito “italiani razzisti - io vi denuncio” che ormai accompagna ogni tentativo di far rispettare le leggi italiane da parte delle Forze dell’Ordine. Ogni momento del successivo accompagnamento in Questura per la redazione degli atti e la convalida dell’arresto, è stato accompagnato dalle minacce, dai tentativi di far desistere gli Operanti dal proprio dovere, fino a giungere a fingere malori. Una storia all’ordine del giorno, negli Uffici di Polizia di tutta Italia. A Padova il copione si è ripetuto, con l’aggiunta di due poliziotti con prognosi rispettivamente di 8 e di 25 giorni per le lesioni subite durante le fasi dell’arresto. Ma quanto è accaduto il giorno dopo, nell’aula del Giudice monocratico del Tribunale di Padova, Dott.ssa Bello, ha, secondo noi Rappresentanti delle Forze dell’Ordine, dell’incredibile. Il Giudice infatti, non ha convalidato l’arresto dello straniero, pregiudicato, che si era disfatto di due bustine di droga durante l’inseguimento, che ha danneggiato l’auto della Polizia ed aggredito i poliziotti, che ha sbeffeggiato le divise e lo Stato Italiano per tutto il giorno. Non risulta però che il Giudice abbia discrezionalità quando l'arresto sia stato eseguito legittimamente; recita così l'art. 391, comma 4: "quando risulta che l'arresto è stato legittimamente eseguito il giudice provvede alla convalida con ordinanza" cui rinviano le disposizioni sul giudizio direttissimo (art. 449); d'altra parte l'immediata liberazione è prevista (per il Pubblico Ministero) dall'art. 389 che dice "se risulta evidente che l'arresto è stato eseguito per errore di persona o fuori dei casi consentiti dalla legge". Le motivazioni del Giudice Bello sono chiaramente descritte nel verbale: “ritenuto che la richiesta di misura cautelare in carcere non possa essere accolta, difettando i gravi indizi a carico del prevenuto”, disponendo l’immediata liberazione dell’indagato. Quindi o i poliziotti hanno commesso un falso ideologico o il Giudice è fuori legge! Sappiamo bene che il giovane tunisino è un portatore di problematiche sociali che vanno al di là della sua persona ma non pensiamo che le problematiche dei criminali possano essere risolte nelle Aula di Giustizia. E noi, poliziotti e cittadini, vorremmo vedere un fine nel nostro lavoro e poter godere di un qualsiasi parco cittadino che non sia territorio di spacciatori! Ma vorremmo anche capire perché un giudice ha deciso di lasciare di fatto impunito un soggetto imputato di lesioni, resistenza ed oltraggio a pubblico ufficiale, nonché di detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente. Noi possiamo continuare a non capire quali mondi reali vengano immaginati da Giudici che si dimostrano totalmente scollegati dalla realtà nella quale accadono questi fatti.In altri Stati i Giudici devono passare un po’ di tempo con la Polizia, per la strada, prima di completare la propria carriera e poter sedere sotto alla scritta “La Legge è uguale per tutti”. E’ difficile sottrarsi all’impressione che in Italia certi giudici non leggano nemmeno i giornali, non conoscano il territorio in cui vivono, né i veleni che stanno deteriorando la nostra società. Non riteniamo che liberare uno spacciatore violento sia stato un gesto di “generosità”, di umanità né di giustizia e chiediamo a Lei Signor Ministro di aprire un’indagine formale su quanto accaduto. Sappiamo che chi delinque e viene lasciato impunito, non se ne andrà mai dall’Italia, non ne rispetterà mai le leggi né chi viene chiamato a rappresentare lo Stato e rischia la vita tutti i giorni per questo.

Tubercolosi

Nomadi, è allarme tubercolosi: al via i controlli nei campi

Cresce l’allarme tubercolosi nel Lazio, soprattutto tra i rom. Nella capitale, solo nel 2008, i casi di contagio sono stati 363. In particolare, i soggetti colpiti dall’infezione del batterio sono stati nel 60 per cento dei casi stranieri. Così anche a livello regionale, dove l’emergenza sanitaria ha bersagliato 581 persone, di cui 348 nomadi. Un dato che si aggiunge ai 75 rom che hanno contratto il batterio, solo nel primo trimestre del 2009, a conferma che sono soprattutto gli immigrati che hanno trovato ricovero nei campi a essere affetti da tubercolosi.Proprio per sensibilizzare le popolazioni nomadi sui rischi di contagio e al fine di ridurre l’impatto della pericolosa trasmissione dei bacilli, è stato siglato, ieri in Campidoglio da Comune e Regione, un protocollo d’intesa per la realizzazione di un progetto che permetterà di prevenire la patologia all’interno dei campi. Ma anche l’individuazione dei soggetti che sono maggiormente esposti a contrarla, facilitando inoltre l’accesso alle terapie per chi è stato infettato. Ideato in collaborazione con l’Istituto nazionale malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”, Lazio Sanità, Agenzia di sanità pubblica e Asl, il progetto, al via nel mese di settembre, comprende di diverse fasi. A spiegarle il presidente della commissione speciale alle Politiche sanitarie del Campidoglio, Fernando Aiuti: «La prima fase è la formazione degli operatori sanitari che entreranno a contatto con le popolazioni rom. Poi si avvierà la sensibilizzazione delle comunità nomadi. Terza fase, sarà la diagnosi svolta dal personale del sistema sanitario nazionale. Inoltre, per ogni caso di infezione accertato, sarà avviata un’indagine epidemiologica con lo screening e l’eventuale trattamento preventivo dei contatti. Infine, i casi sospetti di tbc verranno mandati allo Spallanzani per approfondimenti diagnostici». Soddisfatto dell’accordo firmato il vicepresidente Esterino Montino che dice: «L’incidenza di contagio più alta è nella Asl Rm B, dove si trovano il 50 per cento dei campi rom. Con il protocollo vogliamo prevenire e agire a monte e il lavoro che andremo a fare sarà sinergico con tutte le forze messe in campo». Gli fa eco l’assessore capitolino alle Politiche Sociali, Sveva Belviso, che spiega: «La diagnosi precoce della patologia è l’intento del progetto, per il quale l’amministrazione comunale ha stanziato un finanziamento di 130mila euro». L’assessore ha inoltre assicurato che «entro ottobre saranno ristrutturati i sette campi nomadi attrezzati della capitale, con l’ultimazione delle le strutture di Nomentano e Castel Romano». Intanto proseguono capillari i controlli della Questura finalizzati al monitoraggio dei campi nomadi non regolari: gli agenti di polizia hanno effettuato, mercoledì scorso, un servizio di censimento degli insediamenti abusivi sorti nella zona di via dell’Esperanto e via di Decima, ma anche di quelli in via della Magliana e via dell’Imbarco. E sulle condizioni igienico-sanitare deteriorate degli insediamenti e sugli arresti domiciliari disposti nei campi nomadi, verrà presentato oggi dal presidente Fabrizio Santori un dossier presso la Commissione Sicurezza urbana del Comune.

Milano

Scuola araba sfrattata: si cerca una sede, la Lega sulle barricate

La scuola araba sotto sfratto? Ci pensa il Comune a trovare una sede. La scuola araba bilingue di via Ventura è stata sfrattata dall’Enaip, ente di formazione vicino alle Acli, proprietaria dello stabile a Lambrate. Lezioni a rischio per gli oltre 200 alunni che frequentano la scuola, che copre dalle materne alle medie. Ieri Palazzo Marino ha risposto all’appello lanciato dalla scuola a Comune e Provincia: «Ho ricevuto mandato dal sindaco - spiega l’assessore alla Scuola Mariolina Moioli - per cercare una sede alternativa all’istituto. Certo, ma al momento non esistono strutture libere, ma i miei uffici stanno studiando la situazione. Ho incontrato anche il console egiziano, che in primavera mi aveva scritto una lettera in cui mi chiedeva ufficialmente di aiutare l’istituto a trovare una soluzione». Stessa risposta arriva dal collega al Demanio Gianni Verga: «Non mi risulta che ci siano degli spazi liberi, ma stiamo facendo una verifica». Mette le mani avanti l’assessore all’Edilizia scolastica della Provincia, Marina Lazzati, in quota Lega. «La questione non è di nostra competenza - replica - perché non si tratta di una scuola superiore. Per giunta è una scuola privata araba, e poi nessuno ha formalizzato la domanda». Più dura la posizione del capodelegazione in giunta regionale Davide Boni: «Non credo sia un problema di Milano fornire agli organizzatori della scuola araba appena sfrattata da via Ventura, una nuova sede o un edificio. Di certo le istituzioni non possono prendersi in carico l’apertura di una scuola privata araba, a scapito di tutti gli altri alunni».

Acquisizioni

Le acquisizioni nelle sedi regionali di Pd, Socialisti, Prc, Sinistra e Libertà e Lista Emiliano. Bari, carabinieri in sei sedi di partiti. Nel mirino i bilanci del centrosinista della Regione Puglia Quindici gli indagati, tra cuil'ex assessore Tedesco

BARI
- I carabinieri si sono presentati giovedì mattina in sei sedi di partiti del centrosinistra a Bari. I militari hanno acquisito i bilanci dei partiti della Regione Puglia nell'ambito dell'indagine del pm Desirè Digeronimo sul presunto intreccio tra mafia, politica e affari nella gestione degli appalti pubblici nel settore sanitario. Indagate 15 persone tra cui l'ex assessore regionale alla Sanità Alberto Tedesco, ora senatore del Pd.

LE ACQUISIZIONI- I militari si sarebbero presentati nelle sedi regionali di Pd, Socialisti, Prc, Sinistra e Libertà, e Lista Emiliano. Gli accertamenti disposti dal magistrato, che ha firmato decreti di esibizione di documentazione, riguardano l'ipotesi di illecito finanziamento pubblico ai partiti in riferimento al periodo compreso dal 2005 ad oggi, comprese le ultime elezioni al Comune di Bari.

L'INCHIESTA- Sono una quindicina le persone indagate tra cui l'ex assessore regionale alla Sanità Alberto Tedesco, ora senatore. Le ipotesi di reato sono di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, alla concussione, al falso, alla truffa; per alcuni reati si ipotizza l'aggravante di aver favorito un'associazione mafiosa.

Dittatura islamica

Il regime di Teheran? Una mafia islamica

Ho scritto questo articolo per affrontare la grande delusione e il dolore del mio Paese natale. L'ho scritto per esprimere la mia grande gioia, sorpresa e sconcerto. L'ho scritto a nome dei milioni di connazionali che hanno pianto di dolore quando il risultato delle elezioni presidenziali è stato reso noto. Erano furibondi.Non mi aspettavo che perdere avrebbe potuto essere causa di un tale dolore fisico. Ogni singola parte del mio corpo faceva male. Era come se un gruppo di poliziotti con le maschere nere della Guardia islamica rivoluzionaria mi avesse bastonato su schiena, braccia, gambe, torace e testa. Avevo il collo talmente rigido che riuscivo a muoverlo a fatica. Era un effetto collaterale della delusione nazionale. Tutto faceva pensare che Moussavi avrebbe trionfato. Avrebbe dovuto umiliare e rispedire a casa Ahmadinejad, che ha preso invece ventiquattro milioni di voti, dieci in più del favorito Moussavi. Non poteva essere, era un risultato impossibile, un imbroglio di prim'ordine! Per un attimo Moussavi, prescelto per essere candidato alla presidenza, si è spaventato a morte: «Sono sbalordito. Non possiamo far questo alla gente. È un gioco falso e pericoloso. Voglio sapere chi è il regista che sta dietro a tutto questo. È un chiaro segno che la menzogna regna sovrana. Io non mi piegherò e la gente non deve cedere. Svelerò al popolo i segreti di questo gioco umiliante». Gli elettori avevano la stessa sensazione, si sentivano traditi, usati dal regime e anche da Moussavi. La rabbia li fece scendere per le strade a migliaia e gridare: «Dove sono i nostri voti?» Io pensavo, e lo pensavano tutti, che non sarebbe successo nient'altro. Invece successe qualcosa che nessuno osava neanche sognare. Sotto gli occhi stupiti e spaventati degli ayatollah, migliaia di giovani si misero in movimento. Era come se una forza extraterrestre avesse chiamato la nuova generazione alla ribellione. E, con sorpresa di amici e nemici, Moussavi subì una metamorfosi. Prima provò a richiamare all'ordine i propri sostenitori, poi cambiò il suo messaggio in: «Ragazzi, la legge vi dà il diritto di dimostrare! Io sono con voi. Non accetto il risultato delle elezioni. Continueremo a dimostrare finché non sarà invalidato». La prima crepa aveva fatto la sua comparsa nel baluardo del regime. Moussavi il traditore divenne da un giorno all'altro un eroe. Tutti noi pensammo che si trattasse di una bella ma corta primavera, ma le dimostrazioni continuarono e Moussavi fece qualche altro coraggioso passo in avanti.La rabbia spontanea sbocciò in una storica protesta nazionale. Un movimento unico, moderno e pieno di energia che non traeva la propria forza da Allah, bensì da internet. Negli ultimi tremila anni il popolo iraniano è stato raso al suolo innumerevoli volte, ma in quel Paese misterioso sta succedendo qualcosa di bello. La gente continua a ribellarsi. Il regime ha il controllo assoluto su tv, giornali e radio nazionali. Le linee telefoniche e le connessioni a internet sono quasi tutte interrotte. Ma nonostante questo i giovani hanno aggirato tutti gli ostacoli e attraverso Facebook e YouTube sono riusciti a diffondere nel mondo di nascosto innumerevoli filmati dei crimini del regime. In tutto il mondo hanno visto cosa succede e i giovani iraniani hanno fatto sentire la propria voce. Ora tutti sanno che Ahmadinejad è un presidente illegittimo. In quest'ultimo mese in Iran è stata scritta una nuova pagina di storia. Chi avrebbe mai pensato che migliaia di persone avrebbero improvvisamente osato ribellarsi a uno dei regimi più violenti al mondo. Nelle stesse strade di Teheran in cui trent'anni fa milioni di persone della vecchia generazione urlavano: «Via lo scià». Nei corti filmati su internet si vedono gli stessi edifici, gli stessi alberi, piazze, autobus, uccelli, gas lacrimogeni e gli stessi fucili. Ma lo slogan che risuonava sabato scorso era un altro: «Via il dittatore Khamenei!» La settimana scorsa, con le lacrime agli occhi e paura nel cuore, i genitori iraniani hanno visto i loro figli riversarsi in massa nelle strade a combattere la propria rivoluzione. Hanno chiarito che la voce di Ahmadinejad è la voce degli ayatollah e dei loro figli, figlie, famiglie e di tutte le persone che devono a loro i milioni di denaro corrotto che sono riusciti ad accaparrarsi. La voce di Ahmadinejad è la voce della Guardia islamica rivoluzionaria e delle famiglie dei suoi membri, che hanno le case più costose, le auto più belle, le ville sul mare più lussuose e il monopolio dei prodotti petroliferi. La voce di Ahmadinejad è la voce di migliaia di grossisti dei bazar che, importando dall'Occidente, hanno guadagnato miliardi senza dover pagare un centesimo di tasse. La voce di Ahmadinejad è la voce di una potente mafia islamica iraniana che ha preso corpo negli ultimi trent'anni e l'ayatollah Khamenei è diventato il custode di questo spaventoso regime teocratico. La nuova generazione ha compiuto una grande impresa. Ha ridimensionato Ahmadinejad e gli ha tappato la bocca. Ahmadinejad è il presidente di un colpo di Stato. La Repubblica islamica dell'Iran si è sbarazzata della sua parte repubblicana. Non ha bisogno del voto e del parere dei cittadini del Paese. È diventato un regime pericoloso, più pericoloso di prima. Il mondo l'ha giudicato duramente. Chiedo al mondo con rispetto di continuare a essere vigile.

Traduzione di Valentina Freschi

Dittatura islamica

Afghanistan. Elezioni di agosto: i talebani invitano al boicottaggio

I talebani hanno lanciato oggi un appello agli afghani perché boicottino e attacchino le elezioni presidenziali e provinciali del prossimo 20 agosto, per "liberare il loro Paese occupato". È quanto si legge in un comunicato diffuso oggi dagli stessi talebani. Intanto, è stato organizzato oggi un incontro in Tagikistan fra il presidenti della repubblica ex sovietica con i suoi colleghi di Russia, Afghanistan e Pakistan, per discutere sulle prospettive di pacificazione dell'Afghanistan, e più in generale la situazione nella regione del'Asia centrale. I leader afghano e pachistano, Hamid Karzai e Azif Ali Zardari, sono già a Dushanbè, la capitale tagika, e nel pomeriggio è previsto l'arrivo del presidente russo Dmitri Medvedev. Insieme al presidente tagiko, Emomai Rakhmon, il leader del Cremlino inaugurerà una centrale idroelettrica costruita da tecnici russi. Domani Medvedev si trasferirà a Bishkek, capitale del Kirghizistan, dove è in programma un vertice di due giorni dei paesi aderenti al Trattato sulla sicurezza collettiva: Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. La notizia giunge all'indomani dalle dichiarazioni del premier Silvio Berlusconi che ha parlato di "considerare una exit strategy dall'Afghanistan ma solo dopo le elezioni nel Paese asiatico ad agosto e, soprattutto, solo accordandosi con gli altri partner". Il Cavaliere ha voluto fare questa precisazione dopo le polemiche sulla Lega che aveva chiesto di "riportare a casa" i soldati italiani impegnati nelle missioni italiane all'estero. Di fronte ai senatori del Pdl, riuniti presso la terrazza Caffarelli a Roma per il tradizionale cocktail di saluto prima della pausa estiva, il presidente del consiglio illustra la strategia italiana a Kabul: "Chi di noi non vorrebbe - dice Berlusconi - che i nostri soldati tornassero a casa? Ma i giornali devono riempire le pagine e guardate cosa è successo quando Bossi ha fatto una battuta". Sull'incremento delle ostilità nel Paese, il premier ha spiegato che "ci aspettavamo già una recrudescenza degli scontri in prossimità delle elezioni e così è stato", ma sottolinea che, intanto, "noi dobbiamo essere là e far crescere la democrazia in Afghanistan".

Islam

Sudan. Arrestata perché portava i pantaloni: "Rinuncio all'immunità Onu"

Nonostante rischi 40 frustate per il "grave" oltraggio ai costumi pubblici sudanesi nell'aver indossato i pantaloni in pubblico, Loubna Ahmad al-Husseini, impiegata Onu e giornalista, ha deciso di rinunciare all'immunità diplomatica. La ragione? Vuole portare il suo caso all'attenzione internazionale. "È importante che la gente sappia quello che accade in questo Paese", ha aggiunto la donna chiedendo ai giornalisti di essere presenti quando si presenterà e sarà frustata. Il 3 luglio scorso la funzionaria internazionale è stata fermata in un ristorante dalla polizia di Khartoum insieme ad altre 13 donne perché indossava i pantaloni, considerati un indumento "indecente" nel Paese, nonostante fosse ampiamente coperta da uno scialle fino al bacino. Lubna, che collabora con una missione delle Nazioni Unite in Sudan, ha rinunciato all'immunità prevista per chi lavora per un'organizzazione internazionale e intende essere processata in quanto giornalista sudanese. La donna è famosa in patria per essere una firma del giornale di sinistra al-Sahafa. In un primo momento si riteneva che l'esecuzione della condanna, mediante 40 frustate, dovesse avvenire già oggi subito dopo un veloce processo, come già accaduto in passato. Per questo la giornalista aveva distribuito 500 inviti a suoi colleghi e agli operatori dei diritti umani nel Paese in occasione dell'udienza odierna per permettere a un vasto pubblico di assistere alla sua fustigazione. Invece, secondo quanto riferisce al-Jazeera, questa prima udienza è servita solo per comunicare ai giudici di Khartoum che la donna intende non avvalersi dell'immunità, in quanto intenzionata a lasciare l'incarico ricoperto all'Onu. Tutto quindi si deciderà il prossimo 4 agosto. Diversa è stata la sorte di 10 delle donne fermate con lei all'inizio del mese le quali hanno subito, dopo il fermo, 10 frustate ciascuna. Altre 3 (fra le quali la al-Hussein) sono state segnalate alla magistratura per essere processate. Nel frattempo, il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, si è detto "profondamente preoccupato" per il processo a Lubna Ahmed al-Hussein. Durante una conferenza stampa oggi al Palazzo di Vetro, il segretario generale ha sottolineato che l'Onu "prenderà tutti le azioni necessarie a proteggere il personale" e ha chiesto al governo del Sudan di "rispettare il diritto internazionale".

mercoledì 29 luglio 2009

Unione europea

"La sentenza della Corte costituzionale tedesca chiama tutti ad agire contro il deficit di democrazia dell'UE" di Ida Magli

Finalmente! Finalmente! La sentenza emessa dalla Corte Costituzionale tedesca ci riempie di gioia, carissimi Lettori degli Italiani Liberi, e ci fa gridare “finalmente”, non soltanto per il suo contenuto, ma anche, e forse perfino di più, perché ci riporta, nel pensiero e nell’azione, alla normalità del sistema logico. E’ stato questo, infatti, fin dall’inizio della costruzione europea, l’aspetto più disperante per i sudditi: trovarsi davanti a una totale distorsione della normalità, nelle azioni e nel linguaggio, così da far apparire impossibile, e da rendere di fatto impossibile, qualsiasi reazione. Per gli Italiani, poi, questa impossibilità è stata probabilmente più tragica che per tutti gli altri cittadini dell’Unione, perché nessuno era disposto a riconoscerne a viso aperto la patologia. I giornalisti stessi si sono abituati a non commentare mai, o a commentare soltanto con il minimo delle parole indispensabili, tutto quanto riguarda l’Unione Europea, più o meno consapevolmente convinti che fosse meglio non addentrarsi nei labirinti di discorsi e di normative privi di qualsiasi razionalità. Leggere il testo della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona (la Costituzione europea) ci fa finalmente sentire cittadini normali, che sanno leggere e scrivere, che ragionano con il sistema logico comune a tutta l’umanità e che possono ricominciare ad usare il proprio linguaggio senza leggi che vietano termini, concetti, opinioni. La sentenza della Corte costituzionale tedesca chiama tutti ad agire contro il deficit di democrazia dell'UE. Si applica solo alla Germania ma ha implicazioni significative per tutti gli Stati membri, ivi compresi quelli che hanno già ratificato il Trattato di Lisbona.

di JENS-PETER BONDE

Perché la sentenza della Corte tedesca mette a rischio il Trattato di Lisbona

Il Trattato di Lisbona ha previsto che in determinati casi le sue norme possano essere modificate dagli organi dell' Unione senza il concorso degli Stati. Altra ipotesi è che gli organi dell' Unione amplino la sfera di competenza dell' Unione o anche modifichino il Trattato svolgendo un ruolo preminente. L' apporto degli Stati viene marginalizzato. In concreto le modifiche si intendono approvate se entro sei mesi dalla loro comunicazione il singolo Parlamento nazionale non abbia trasmesso una propria formale opposizione. La ratifica, quale disciplinata dalle norme costituzionali interne, viene dunque sostituita da una procedura di silenzio-assenso. Nei due gruppi di norme citate sta la vera novità del Trattato di Lisbona. Il rilievo della preminenza attribuita agli organi dell' Unione nella procedura di revisione del Trattato è facilmente comprensibile. Potrebbe sfuggire l' importanza delle modifiche del Trattato che gli organi dell' Unione possono introdurre in piena autonomia. Consistono nella sostituzione della procedura legislativa ordinaria a quella speciale e, nelle deliberazioni del Consiglio, nella sostituzione della maggioranza qualificata alla unanimità. Nella procedura legislativa speciale la Commissione non interviene. In quella ordinaria la Commissione interviene ed il suo ruolo è dominante. Parlamento e Consiglio non possono deliberare se e fino a quando la Commissione non abbia formulato una proposta. La sostituzione della maggioranza qualificata alla unanimità comporta che uno Stato possa essere vincolato ad una delibera alla quale il suo rappresentante non abbia partecipato. La Corte Costituzionale tedesca, chiamata da alcuni ricorsi a valutare la compatibilità di queste novità con il sistema costituzionale interno, è partita dalla premessa che, nell' attuale fase di integrazione, gli organi dell' Unione non raggiungono il livello di legittimazione democratica necessario per sostituire il Parlamento tedesco nell' esercizio di funzioni sovrane. Ha ritenuto la natura sovrana delle funzioni che formano oggetto delle norme esaminate. Ha dedotto come conseguenza l' incostituzionalità della legge che ha autorizzato la ratifica del Trattato di Lisbona nelle parti in cui, in virtù delle norme esaminate, gli organi dell' Unione si sostituiscono al Parlamento nazionale. Quando si esprimono giudizi su questioni attinenti alla Costituzione di altri Paesi il margine di errore è elevato. Purtuttavia gli effetti della sentenza non riguardano solo la Germania. Si estendono agli altri 26 membri dell' Unione, compresa l' Italia. La formulazione di ipotesi e la prospettazione di dubbi è quindi legittima, se non doverosa. Come la Germania reagirà alla sentenza della Corte Costituzionale? Una soluzione apparentemente semplice si avrebbe se una nuova legge del Parlamento autorizzasse la ratifica del Trattato alla espressa condizione che le decisioni adottate dagli organi dell' Unione sulla base delle norme del Trattato prese in considerazione dalla Corte Costituzionale ricevano attuazione in Germania solo dopo che il Parlamento, nel rispetto delle competenze del Bundestag e del Bundesrat, le abbia caso per caso approvate. Se così si provvedesse, le difficoltà della Germania verrebbero superate. Sarebbe dubbio, però, che il Trattato di Lisbona possa entrare in vigore. La Germania non accetterebbe l' attribuzione agli organi dell' Unione di funzioni esclusive o preminenti nell' esercizio di poteri sovrani. Le delibere di tali organi, in virtù delle condizioni poste per la ratifica, risulterebbero degradate al livello delle comuni proposte di revisione dei Trattati destinate ad entrare in vigore solo dopo la espressa approvazione del Parlamento nazionale. Il testo ratificato dalla Germania sarebbe quindi diverso da quello approvato dagli altri 26 Stati membri. L' identità del testo ratificato è viceversa essenziale perché un Trattato multilaterale, quale è quello di Lisbona, come tale espressamente qualificato dalla Corte Costituzionale tedesca, entri in vigore. Per l' Italia sorgerebbe una distinta difficoltà, perché l' art. 11 Cost. consente limitazioni di sovranità solo in condizioni di parità con gli altri Stati. Nel caso, l' Italia si troverebbe ad avere consentito ad una limitazione che la Germania non ha accettato. Potrebbe prospettarsi una soluzione più radicale, che la Germania accetti il Trattato di Lisbona così come è, autorizzandone la ratifica con legge costituzionale. Sembra tuttavia improbabile che in una fase politica incerta, quale è l' attuale, in un Paese come la Germania, sempre così attenta nella tutela della propria sfera di sovranità, una qualche forza politica si assuma la responsabilità di proporre il trasferimento incondizionato e definitivo di poteri di obiettiva rilevanza costituzionale ad organi dell' Unione che la Corte Costituzionale ha già giudicato privi della legittimazione democratica necessaria. Ne originerebbero ragioni di perplessità in altri Paesi. La sentenza della Corte Costituzionale tedesca porta la data del 30 giugno di quest' anno. Si compone di 421 commi. È frutto di un' elaborazione complessa ed attenta. Sinora se ne è parlato poco, anche per il rilievo mediatico del G8. La sentenza sarà al centro dell' attenzione nei prossimi mesi. Se ne è data una ristrettissima sintesi, che potrà aiutare a comprendere la dimensione del problema. Le soluzioni che verranno accolte per dare attuazione alla sentenza saranno decisive per le sorti comuni. Avranno riflessi anche nel resto del mondo.

Guarino Giuseppe

Dove arriva l'islam...

Nigeria, affoga nel sangue la rivolta degli islamici: scontri e oltre 300 morti

Nairobi
- Affoga nel sangue la rivolta degli integralisti islamici nel Nord della Nigeria. Dopo che da domenica i miliziani erano partiti all’attacco in varie città con un bilancio di 200 morti, nel pomeriggio di ieri l’esercito ha bombardato il quartier generale dove si trovava il loro leader, Mustaz Mohamed Yusuf, che aveva detto: "Lotteremo fino alla morte". Non c’era bisogno che lo dicesse. La loro sorte l’aveva già decisa il presidente della Repubblica Umaru Yar’Adua quando aveva proclamato la massima allerta, e indicato che l’insurrezione andava stroncata. Gli scontri non si fermano nemmeno oggi e il bilancio si fa sempre più pesante: si parla ora di oltre 300 morti.

L'intervento dei militari. "I militari sono stati dispiegati qui ieri. Sono impegnati in combattimenti violenti", ha commentato la fonte della polizia. Il presidente Umaru Yar’Adua ha detto che i militari stanno facendo tutto il possibile per estirpare sul nascere un potenziale, enorme, problema per il paese. Le autorità di Lagos, secondo quanto riferisce la Bbc, hanno avuto l’ordine di ricorrere a qualsiasi mezzo per stroncare le violenze. Nei giorni scorsi, bande di giovani islamici, armati di fucili o machete hanno dato l’assalto a commissariati e altri edifici governativi. Molti civili, in fuga sulle loro auto, sono stati fermati, fatti scendere e uccisi sul posto. Nel nord della Nigeria, zona particolarmente povera del paese, le tensioni sociali sono intense ed endemiche ma gli scontri dei giorni scorsi hanno fatto segnare un salto di qualità. Per la prima volta, si sono viste in azione bande che si ispirano all’estremismo islamico e all’esempio dei talebani. A differenza di paesi come Mali o Algeria, però, in Nigeria fino ad oggi non operavano gruppi affiliati ad Al Qaida.

Liberati 180 donne e bimbi. La polizia in Nigeria ha liberato oltre 180 donne e bambini che erano tenuti in ostaggio dagli estremisti islamici della setta Boko Haram. I prigionieri - riferisce la Bbc - hanno raccontato alle forze di sicurezza che sono rimasti sequestrati per 7 giorni e che si nutrivano di datteri e acqua. Il capo del movimento, Mohammed Yusuf, disponeva di una milizia di almeno 250 uomini armati, e si crede ve ne siano almeno altri 1000 nella zona di Maiduguri. Secondo la polizia, oggetti e documenti ritrovati su alcuni miliziani uccisi mostrerebbero che molti di loro non sono nigeriani, ma proverrebbero da paesi vicini come Chad o Niger, che come il nord della Nigeria sono in maggioranza di religione musulmana.

La ribellione suicida. Maiduguri, dove l’insurrezione era esplosa domenica, è la capitale dello stato Borno, uno dei quattro (con quelli, limitrofi, di Bauki, Kano e Yobe) attraversati dalla rivolta, di fatto suicida. Gli attacchi erano stati lanciati da un gruppo il cui nome è Boko haram, che nella locale lingua haussa vuol dire "L’educazione occidentale è un peccato". Tutti li chiamano talebani, ma non non sembra abbiano mai avuto rapporti di alcun tipo con gli integralisti afghani. Le prime notizie che se ne hanno risalgono al 2004: lo fondarono un paio di centinaia (numerose le donne) di studenti universitari contestatori. Chiedono l’applicazione rigorosa della sharia (la legge coranica), e l’obbligo che anche i non musulmani vi siano sottomessi. La loro azione non aveva mai suscitato particolari apprensione: ma, evidentemente, era fuoco che covava sotto la cenere.

Le divisioni interne. La Nigeria (la nazione più popolosa dell’Africa, circa 150 milioni di persone) è uno Stato dalle contraddizioni spaventose. Il Nord, 12 regioni (in tutto il Paese sono 36) a stragrande maggioranza musulmana, dove dal 2000 è in vigore la Sharia, seppur in maniera non rigida, poverissimo, letteralmente alla fame. Ed il Sud, a grande maggioranza cristiana, che affoga (tra enormi contraddizioni e rivolte contro le compagnie petrolifere internazionali) nel petrolio. Nel complesso una delle potenze petrolifere mondiali, delle cui ricchezze però pochi nigeriani beneficiano, e comunque nessuno nel nord.

La minaccia petrolifera. Una miccia innescata sui barili di petrolio. Di lì, come in tante altre situazioni mediorientali e orientali, la penetrazione dell’integralismo nella popolazione: l’indicare negli occidentali in generale, e nei cristiani nigeriani in particolare, i colpevoli delle situazione di fame. E domenica i talebani hanno lanciato l’attacco. La popolazione non li ha seguiti, e la repressione è stata spietata: testimonianze non confermate, ma concordi, parlano di centinaia di cadaveri ammucchiati nei posti di polizia. Anche i talebani non sono andati per il sottile: poliziotti e personale della sicurezza in generale decapitato o dato alle fiamme vivo. La Nigeria è sempre più a rischio: tra il Mend (Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger) che imperversa nella zona, a maggioranza cristiana, immersa nel petrolio; e i musulmani poverissimi del nord, facile preda dell’integralismo. Per ora non hanno contatti, ma sarebbe un cocktail fatale.

Fanatismi e cazzate

Un’italiana in fuga verso l’Islam di Emanuela Frate

Le conversioni ad un’altra religione sono un fenomeno in crescita in Italia, frutto anche di una società sempre più multiculturale. Incontriamo, nella sua abitazione di Trento, la scrittrice Deborah Callegari Muamera Hasanagic (ha adottato il nome del marito dopo la conversione) convertitasi all’Islam cinque anni fa e autrice del libro “La Mia Fuga Verso l’Islam”. Editrice Nuovi Autori di Milano. “Ho sentito l’esigenza di scrivere questo libro”- dichiara - “perché in Italia sono poche le persone che comprendono la spiritualità insita nell’Islam e soprattutto per sfatare alcuni falsi miti sulle donne musulmane che i mass media danno per inferiori ed in una posizione subalterna”. La Hasanagic risponde alle spinose domande che le vengono poste in modo schietto, spaziando dalla sua personale esperienza alle scottanti vicende internazionali. Le sue posizioni, spesso radicali, dimostrano quanto sia profonda e convinta la sua scelta.

Qual è stato il suo percorso personale che l’ha indotta a scegliere la religione islamica? È sicura che questa scelta non sia stata dettata da una pressione, anche involontaria, da parte del suo consorte bosniaco? “Prima di tutto ci tengo a sottolineare che l’Islam dà molto valore alla famiglia ed alla donna proprio per il ruolo che ricopre nella società. Prima di diventare musulmana ero perennemente insoddisfatta di tutto quello che facevo, mi sembrava che mi mancasse qualcosa… Invece adesso A-Amdullillah è tutto diverso!...Per quanto riguarda mio marito, sono molte le persone che mi pongono la stessa domanda e posso solo assicurare che lui è stato solo un acceleratore della mia scelta. In realtà, il mio percorso è iniziato molto prima, all’età di 15 anni, rifiutandomi di ricevere il sacramento della cresima perché non mi convinceva. Purtroppo, quando ero giovane, non c’era internet e la ricerca di un’altra religione era molto più complessa”.

Le sembra giusto che sia sempre la donna a “preferire” la religione islamica, mentre è un’eventualità piuttosto rara che un uomo possa convertirsi liberamente al cristianesimo o ad un’altra qualsiasi religione? “La questione non va posta sul fatto che sia giusto o meno che sia la donna a “preferire” la religione islamica, secondo me ci sono molti uomini che si convertono anche se è difficile vederlo, mentre quando è una donna a convertirsi, prima o poi, durante il suo percorso di conoscenza islamica, indosserà il velo che la porterà ad essere riconoscibile, mentre per un uomo, a meno che non lo dichiari apertamente, nessuno lo sa!”.

Che cosa rappresenta per lei il Sacro Corano? Molti lamentano il fatto che il Corano, oltre ad essere un testo religioso, è anche un testo giuridico, insomma un Codice Civile che invade anche la sfera privata dell’individuo. “Per me l’Islam ed il Sacro Corano rappresentano la mia “fortuna”. Mi spiego meglio: il Corano è un misto di scienza, filosofia, logica e diritto testamentario; di conseguenza, seguendo la religione islamica si seguono anche i precetti espressi nel Corano, ecco perché molti lamentano, come dice lei, il fatto che il Corano sia anche un Codice Civile che entra, in modo preponderante, nella sfera privata di un cittadino. Non si può seguire il Corano e gli insegnamenti di Allah e poi trasgredire la Legge! È una contraddizione in termini. È come se io dicessi che ho la Ferrari ma non ho i soldi per mantenerla. In sostanza bisogna mettere in pratica quello che si impara perché Allah apre i nostri cuori e ci guida sulla retta via”.

È stato difficile per i suoi accettare la sua scelta? Lei pensa che l’Italia sia un Paese razzista?Beh, direi che è stato molto difficile! Per mio padre non tanto, lui lo ha accettato subito senza problemi anche perché conosce il mio carattere: sono caparbia e nessuno mi fa cambiar idea. Mia madre e mia sorella fanno ancora fatica ad accettare la situazione. Mia sorella non mi ha parlato per mesi e mi aveva anche offeso pesantemente dicendomi che ero senza dignità perché indossavo il velo… Poi i media, fanno vedere sempre il lato negativo dell’Islam! Che dire degli italiani, no, non sono razzisti al 100%, almeno voglio sperare che non sia così, ma personaggi come Souad Sbai e Daniela Santanchè non contribuiscono a dare una buona immagine dell’Islam. La signora Sbai ha affermato di non aver mai conosciuto nessuna donna musulmana felice di portare il velo; io mi sono chiesta perché non viene a chiederlo a me dal momento che io il velo lo indosso con piacere ed orgoglio. È molto facile farsi pubblicità alle spese degli altri in un paese dove tutti sono creduloni e basta che si dica una cosa alla TV perché tutti ci credano. Il difetto degli italiani non è essere razzisti ma fermarsi alla superficialità e all’apparenza. A questo proposito io cito spesso la canzone del cantautore Giorgio Gaber che diceva: “io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono!” Dipende dai punti di vista…

Cosa pensa in merito alla decisione del laico Governo francese di proibire alle donne musulmane di indossare i burqua ed i niquab? Come disse il profeta Mouhammad: “Che della donna non si veda altro che il volto e le mani”. Il burqua non è prescritto nel Corano, anzi è dannoso per la salute, ma, da una ricerca che ho svolto per il mio secondo libro in uscita, il burqua fa parte di una tradizione pre-islamica che non va confusa con l’aspetto religioso. Sono d’accordo con il Governo Sarkozy per quanto riguarda il Burqua ma non per il velo.

È favorevole o contraria all’ingresso della Turchia in Europa? Molto favorevole. Farebbe bene a tutti conoscere un po’ di cultura e religione degli altri popoli e non soltanto di quelli che ci assomigliano di più. La paura del diverso genera soltanto conflitti.

Mentre in Europa cresce il fascino per la religione islamica, per il mondo arabo, fioccano le conversioni, i corsi di danza del ventre, cambiano anche i gusti alimentari e gli italiani cominciano ad amare i cibi speziati e soprattutto piccanti (cous cous e kebab in testa); in Medioriente, al contrario, il desiderio di somigliare ai coetanei “occidentali” viene soffocato nel sangue. La sedicenne Neda è diventata un simbolo in tutto il mondo della rivolta contro l’oppressione del Regime degli Ayatollah. Cosa ne pensa dei recenti sviluppi e della repressione in Iran? Preciso che la danza del ventre o danza orientale è soltanto un’altra tradizione da non confondere con la religione. Non credo che i giovani arabi non vogliano assomigliare ai loro coetanei occidentali, è solo che sono incuriositi da questo “mondo troppo facile”che vedono alla TV, sennonché quando poi vedono la realtà dei fatti vogliono ritornare alle origini…Che dire sull’Iran… contro gli iraniani non posso dire nulla di male. Loro hanno aiutato i bosniaci musulmani durante la guerra dei Balcani - lì c’era anche mio marito - e lo hanno fatto senza chiedere se fossero di parte sciita o sunnita, mentre il resto del mondo stava a guardare”.

martedì 28 luglio 2009

In democrazia

Il sindaco di Predappio: "Il paese non vuole più i turisti in camicia nera"

Predappio - La famiglia Mussolini abitava al primo piano mentre nello stanzone ai piedi della scala si trovava la bottega da fabbro del padre Alessandro. Poichè la casa non apparteneva alla famiglia, nell'arco di breve tempo si trasferirono in un'altra abitazione colonica della zona (l'attuale sede comunale). Nel 1923, a quarant'anni dalla nascita e a pochi mesi dalla presa del potere da parte del fascismo, la casa venne donata dagli abitanti di Predappio a Benito Mussolini. Fu allora che il Duce decise di trasformarla in una sorta di museo: una casa della propaganda che ancora oggi attira migliaia di nostalgici, militanti e curiosi. Ancora per poco, però. Il sindaco del paese, infatti, vuole chiudere le porte ai "turisti del fascismo" il suo invito non lascia ombra di dubbio: "Restatevene a casa".

Addio al turismo nero. "Turisti del fascismo, per favore, state a casa". Questo in sintesi l’invito del sindaco del Pd di Predappio, Giorgio Frassineti, alle migliaia di persone che ogni anno arrivano nel paese sulle colline dell’Appennino forlivese dove è nato Benito Mussolini, per manifestazioni nostalgiche in camicia nera, che si svolgono di solito in date definite, come quella di domani, 29 luglio, anniversario della nascita del Duce. "Queste persone - ha detto Frassineti - sono i nemici del nostro futuro. Noi siamo vittime di queste ondate becere che volgarizzano la storia d’Italia e ci emarginano a causa di questo carnevale triste e surreale, che spesso si svolge nel cimitero, luogo di dolore dei predappiesi e che ha derive commerciali. Il nome del nostro paese è indissolubilmente legato a quello di Mussolini, ma vorremmo diventare un luogo dove si discute di storia e non il teatro di queste tristi manifestazioni".

Eurabia

Riportiamo le dichiarazioni di Mohamed Sabaoui, giovane sociologo dell'università cattolica di Lille, d'origine algerina, naturalizzato francese, indicative di Eurabia in arrivo

La nostra invasione pacifica a livello europeo non è ancora giunta a termine. Noi intendiamo agire in tutti i paesi simultaneamente. Siccome ci date sempre più spazio, sarebbe stupido da parte nostra non approfittarne. Noi saremo il vostro Cavallo di Troia. I Diritti dell'uomo di cui vi proclamate autori, ora vi tengono in ostaggio. Così, per esempio, se voi doveste parlarmi in questo modo in Algeria, o in Arabia Saudita, come stò facendo ora io con voi, sareste immediatamente arrestati. Voi Francesi non siete capaci di imporre rispetto ai nostri giovani. Perché dovrebbero rispettare un paese che capitola davanti a loro? Si rispetta solo chi si teme. Quando avremo il potere noi, non vedrete più un solo immigrato dar fuoco a una macchina o svaligiare un negozio. Gli Arabi sanno che la punizione inesorabile per un ladro è, da noi, il taglio della mano. E sempre lo stesso Mohamed Sabaoui in un'intervista recente: "Le leggi della vostra repubblica non sono conformi a quelle del Corano e non devono essere imposte ai musulmani che possono essere governati solo dalla Sharia. Noi quindi dovremo agire per prendere il potere che ci è dovuto. Cominceremo da Roubaix che è attualmente musulmana al 60%. Alle prossime elezioni municipali, mobilizzeremo i nostri effettivi e il prossimo sindaco sarà musulmano. Dopo aver negoziato con lo Stato e la Regione, dichiareremo Roubaix enclave musulmana indipendente e imporremo la Sharia (la legge di Dio) a tutti gli abitanti. La minoranza cristiana avrà lo statuto di Dhimmi. Sarà una categoria a parte che potrà riscattare libertà e diritti col pagamento di una tassa speciale. Inoltre faremo ciò che serve per portarli alla nostra religione. Decine di migliaia di francesi hanno già abbracciato l'Islam di loro volontà, perché mai i cristiani di Roubaix non dovrebbero farlo? Attualmente all'Università di Lille organizziamo le brigate della fede, incaricate di convertire gli abitanti di Roubaix riluttanti, cristiani o ebrei che siano, per farli entrare nella nostra religione, perché Dio lo vuole! Noi siamo i più forti perché Dio l'ha voluto. Noi non abbiamo l'obbligo cristiano di portare aiuto all'orfano, al debole, all'handicappato. Noi possiamo e dobbiamo invece schiacciarli se costituiscono un ostacolo, soprattutto se sono infedeli". Mohamed Sabaoui ripete questi concetti fin dal 1996 quando aveva 25 anni ed era studente. Ora è sociologo ma anche cofondatore del "Comitato per la Difesa dei musulmani di Francia" quindi rappresenta il famoso Islam delle moschee. Questi concetti sono stati più volte ripetuti in interviste, articoli e libri. E non crediate siano il frutto di un pensiero isolato, se l'islam diventasse maggioritario in Europa, di questo passo è previsto nel 2050 se non reagiamo, è l'insieme dei musulmani che adotterà questi concetti e questo pensiero e siate sicuri che il loro modo di agire sarà pari all' odio che gli ispiriamo.

Scomparsi

Roma: Mondiali di nuoto, scomparsi sei atleti

ROMA
- E' giallo ai mondiali di nuoto di Roma. Due nuotatori della nazionale del Gibuti e quattro della Guinea sono irreperibili da ieri. Per i primi due e' stata presentata denuncia di scomparsa e sono partite le indagini della Digos. Gli altri quattro non sono rientrati in albergo ieri sera ma per loro non e' stata presentata ancora denuncia formale.

Finti matrimoni

I finti matrimoni misti ci costano quasi 30 milioni di euro ogni mese di Manila Alfano

Il meccanismo è fin troppo semplice: l’imbroglio parte da un matrimonio combinato e arriva dritto alla pensione. In mezzo c’è il diritto alla cittadinanza ottenuto con una truffa. Loro, i parenti, arrivano in massa; sono fratelli, madri e padri, cognati, nipoti e cugini. Tutti, fino alla quarta generazione. È il ricongiungimento familiare. E arrivano tutti in regola. Lui, il loro cavallo di Troia moderno, cinque anni prima è riuscito a concludere l’affare. È entrato in un Comune da clandestino con una donna italiana sotto il braccio, che spesso vede per la prima volta, non si capiscono nemmeno quando parlano, fanno fatica a ricordare il nome dell’altro da scandire ad alta voce. Si separano all’uscita per non rivedersi mai più. Alle spalle niente processi di integrazione; cancellati i tempi d’attesa per il permesso di soggiorno. È truffa. È racket. Sono affari. Diecimila euro per trovare una complice che si presta alle finte nozze. La scorciatoia è a portata di mano, un patto tra disperati, pochissimi i controlli, addirittura il sessanta per cento di loro riesce nell’impresa. È la legge che viene raggirata. Milano è lo specchio opaco di questa realtà sommersa dove vive il 12,5 per cento dei clandestini presenti in tutto il Paese. Dai dati forniti dalle forze dell’ordine emerge che un matrimonio misto su due è combinato. (Solo a Milano 894 in un anno). Una tendenza che tocca il 60 per cento se si parla dell’Italia intera. Il fenomeno, insomma, è serio. È dopo aver ottenuto la cittadinanza che i parenti iniziano ad arrivare. «Secondo i nostri dati sono circa quindici persone che arrivano per ogni nuovo cittadino - spiega Ahmed Ali del centro culturale arabo -. E circa 120mila chiedono la pensione». Ottengono la carta di soggiorno nel giro di un paio di mesi, a quel punto tutti i documenti sono pronti per iniziare a prendere il vitalizio di circa 400 euro al mese. «Ma non è tutto qui - continua Ahmed -: molti di loro chiedono pure l’accompagnamento». Cifre che fanno paura. Almeno 70mila quelli che godono di questa rendita. Una spesa per lo Stato di circa 29milioni di euro ogni mese. È una zona grigia. Il professor Marzio Barbagli, sociologo che da anni si occupa del problema dell’immigrazione, dice che c’è molta incertezza sui numeri. «I miei dati parlano di circa trentamila matrimoni misti ogni anno. Un fenomeno complicato da decifrare, distinguere tra la truffa e il matrimonio d’amore. È vero però che una minima parte di queste nozze sono una truffa». La Sbai sostiene che di questi casi ne ha visti molti in questi anni, «quando all’altare si presentano persone che non si ricordano neppure il nome dello sposo un dubbio viene». Tocca a sindaci e assessori fare un po’ i poliziotti. Molte denunce arrivano proprio da loro. Le facce tradiscono. Troppi silenzi, imbarazzi e poca intimità. Il matrimonio come affare, come grimaldello per aggirare le leggi sull’immigrazione e, sempre più spesso, un modo veloce per assicurare a mamme, nonne e zie una pensione sociale. Arginare il problema è difficile, si va per tentativi. «Con il nuovo decreto sicurezza abbiamo fermato il ricongiungimento familiare alla seconda generazione, invece della quarta». «Tutto questo avviene da molti anni - continua Ahmed, almeno dal 2000. Molti vengono qui per prendere la pensione e poi tornano nel loro Paese d’origine, dove hanno una pensione anche lì. Ma non esistono controlli incrociati per smascherarli».

Islam di pace

«Noi, baby-kamikaze contro i soldati italiani» di Gaia Cesare

Hanno imparato che anche uccidere i genitori - «se sono dalla parte sbagliata» - può essere un atto di fede ad Allah. Gli hanno insegnato che combattere i nemici dell’islam è un dovere e che il martirio è la ricompensa migliore per un musulmano. Per sedici ore ogni giorno li hanno allenati fisicamente e indottrinati psicologicamente, in modo che potessero affrontare la morte propria e quella del nemico con il fanatismo che si richiede a un vero eroe dell’islam. Ora le truppe pachistane li hanno catturati. Ma di fronte non si sono trovati kamikaze qualunque. In quel campo di addestramento smantellato dalle forze di Islamabad nella valle dello Swat sono stati «allevati» al martirio fra i 1.200 e i 1.500 bambini. Tutti di età compresa fra gli undici e i quindici anni. Rapiti dai talebani e da loro addestrati per andare a morire in Afghanistan. Niente scuola, addio agli amici e alla famiglia. I guerriglieri islamici li hanno sequestrati e portati a Mingora, la città nella valle dello Swat, al confine con l’Afghanistan, che in base a un accordo col governo pachistano è rimasta in mano agli integralisti, salvo poi subire l’offensiva militare delle forze di Islamabad quando i talebani hanno disatteso i patti. I piccoli protagonisti di una guerra più grande della loro stessa volontà - una volta catturati dai soldati di Islamabad - hanno raccontato a un giornalista del Times i loro giorni da incubo. Abdul Wahab è stato portato via dalla madrassa, la scuola islamica in cui studiava, e trasferito nel campo con la forza. Ha solo 15 anni: «Mi hanno detto che allenarmi per combattere i nemici dell’islam era dovere di ogni buon musulmano». Poi l’ammissione: «Ero terrorizzato quando mi hanno avvertito che sarei stato addestrato per gli attacchi suicidi». A Murad, 13 anni, hanno messo subito in mano una pistola: «Il mio istruttore mi ha detto che il martirio è la ricompensa migliore di Allah». A Kurshid Khan, 14 anni, hanno insegnato «a non esitare anche ad uccidere i genitori se stanno dalla parte sbagliata». Poi hanno istigato l’odio anche contro le forze pachistane, «diventate amiche dei cristiani e degli ebrei». Il giorno dell’attacco, il baby-kamikaze viene portato in moschea e elogiato per essere stato prescelto da Dio. E le forze pachistane non hanno dubbi: i bimbi di circa dodici anni allenati alla morte per l’islam sono almeno 1.200. Un numero e una circostanza che si sommano alle notizie svelate da un rapporto delle Nazioni Unite, che ricorda come l’80 per cento degli attentati contro le forze americane e occidentali impegnate in Afghanistan coinvolga persone addestrate in campi militari allestiti in Pakistan. Per alcuni di questi bambini però c’è una speranza. Dopo il blitz dei soldati pachistani, qualcuno è stato restituito alle proprie famiglie. Murad è tornato a Mingora. «Non avevamo idea di dove fosse finito - ha raccontato il padre. Mi ha fatto orrore sapere che mio figlio potesse diventare un kamikaze». Qualcun altro però non ha trovato la via di ritorno a casa. Molti sono stati venduti ad altri militanti. Impossibile sapere quanti di loro siano ancora vivi.

lunedì 27 luglio 2009

Gran Bretagna

UK: poliziotti, non denunciate gli estremisti Islamici

UK: La polizia viene informata di non denunciare gli "estremisti" Musulmani per crimini di odio per paura di "radicalizzarli" maggiormente. Da Jihadwatch:In parte, non vogliono che i Musulmani in prigione vengano soggetti alla dawah di estremisti peggiori come conseguenza dell'essere incarcerati. Ma in questo modo stanno creando un nuovo problema per evitare di risolverne un altro che avevano gia' creato permettendo ai prigionieri di dedicarsi all'indottrinamento jihadista degli altri in carcere - una mossa a sua volta influenzata dalla paura politicamente corretta delle conseguenze di offender. "Poliziotti: prendetevela comoda con gli estremisti Musulmani", di Macer Hall per il Daily Express, 11 Luglio:
"Alla polizia sara' ordinato di non denunciare estremisti Musulmani in molti casi di crimini d'odio - per impedire che diventino ancora piu' militanti. Linee guida diranno alle forze dell'ordine di cercare l'arresto solo in casi di comportamenti veramente criminosi.Ai poliziotti sara' suggerito di non procedere quando le situazioni di violazione della legge sono "di confine". Esempi di crimini su cui chiudere un occhio potranno includere l'incitamento all'odio religioso o la consultazione di materiale estremista su internet. La scorsa notte critici hanno avvertito che questa decisione potrebbe significare che un maggior numero di radicali Islamici si sentano liberi di incoraggiare ad atti di violenza. Alcuni hanno visto la mossa come un tentativo mediato dalla correttezza politica di darla vinta agli estremisti che odiano la Gran Bretagna. Potrebbe anche significare che i poliziotti saranno portati a tollerare attivita' di predicatori d'odio come l'imam Abu Hamza. Il Parlamentare dei Tories David Davies ha detto: "Questo suona come una dichiarazione di resa. Tutti dovrebbero essere uguali di fronte alla legge. "Non importa se qualcuno e' sospettato di incitamento all'odio o taccheggiamento - dovrebbero tutti affrontare lo stesso rischio di essere denunciati". "Non dovrebbero esserci permessi speciali o trattamenti di favore per nessuna sezione della comunita'. "I poliziotti insistono che non vi sia alcun rischio che persone che abbiano chiaramente commesso crimini eviteranno di essere denunciati".
Allora, come mai i poliziotti stessi hanno aperto questa discussione? I Musulmani devono essere trattati secondo la legge come la maggior parte della popolazione, o, per usare il termine di Orwell, sono "piu' uguali degli altri?" "Invece, vorrebbero evitare di alienare i Musulmani che sono sull'orlo dell'estemismo portandoli in tribunale con indizi che difficilmente potranno risultare in una detenzione. La paura e' che alcuni giovani Musulmani stiano cadendo sotto l'influenza dei predicatori estremisti durante l'assolvimento di sentenze di prigionia o mentre attendono il processo"...

Matrimoni fasulli

Matrimoni di comodo: ogni due nozze miste una unione è fasulla di Pietro Vernizzi

Milano - Il racket delle nozze truffaldine prospera all’ombra della Madonnina. Sono 496 i finti matrimoni celebrati in un anno nel Comune di Milano, di cui 94 scoperti dai vigili e 402 dalla polizia di Stato. Uno specchio di quello che succede in tutta Italia, amplificato dai grandi numeri che il fenomeno assume nella metropoli lombarda: basti pensare che in provincia di Milano vive il 12,5% dei clandestini presenti nella Penisola e che il 57% degli stranieri dell’intera provincia è concentrato in città. E quello che si è sviluppato è un vero e proprio affare milionario, dal momento che per ciascuna di queste nozze fasulle un extracomunitario paga non meno di 10mila euro. Una realtà nascosta con un indotto da circa 5 milioni di euro che stenta a venire alla luce, anche se i dati forniti dalle forze dell’ordine parlano chiaro: un matrimonio misto su due (a Milano in tutto 894 in un anno) è combinato. E non sempre per smascherare i finti innamorati occorrono lunghe indagini. In molti casi, è sufficiente rendersi conto che i due non solo non si conoscono e magari si vedono per la prima volta durante la cerimonia, ma addirittura non si capiscono perché parlano lingue diverse. È il metodo usato dai vigili per scoprirli, spesso intervenendo su segnalazione dei consiglieri comunali che celebrano le nozze civili. Mentre come rivela Giuseppe De Angelis, dirigente dell’ufficio Immigrazione della questura di Milano, «la polizia opera in modo diverso, verificando se dopo il matrimonio i coniugi della coppia mista convivano davvero, annullando in media il 40/50% di queste nozze». Nel racket dei finti matrimoni spiccano le nozze tra donne romene, presumibilmente rom, e uomini nordafricani, soprattutto egiziani. Una strana coppia, verrebbe da dire, se non fosse che l’amore non conosce confini. Fatto sta che nel 2008 a Milano su 107 richieste di matrimonio tra romene e nordafricani, 61 sono state bloccate dai vigili, mentre 46 sono andate a buon fine. Una percentuale di finti matrimoni pari al 57% che avvalora il sospetto che sotto ci sia qualche traffico. Anche perché dal 2007 la Romania è entrata nell’Ue e dunque sposare una donna rom è il metodo più semplice per acquisire la cittadinanza comunitaria e poter girare per tutta l’Europa. Tanto che se tra 2000 e 2006 le nozze celebrate a Milano tra romene e nordafricani sono state due in tutto, nel 2007 sono diventate otto e nel 2008 addirittura 46. Mentre tra le altre nazionalità ai vertici della classifica spiccano i matrimoni tra gli uomini marocchini e le donne italiane e tra gli uomini italiani e le donne ucraine. A spiegare come nasca il fenomeno è il vicesindaco, Riccardo De Corato, per il quale «a Milano operano organizzazioni criminali che offrono a chi vuole arrivare in Italia un pacchetto «tutto compreso» che include il viaggio, l’appartamento affittato in nero e il matrimonio per regolarizzare la propria posizione. Questo sistema truffaldino è in espansione ed è destinato a ingigantirsi nei prossimi mesi per aggirare i vincoli più severi posti dal decreto sicurezza. Occorre dunque affidare ai responsabili delle anagrafi comunali maggiori poteri di indagine». Ad avvalorare questa analisi è anche il comando provinciale dei carabinieri, che sottolinea come «dietro a ogni finto matrimonio ci sono sempre molti fiancheggiatori e almeno quattro o cinque intermediari che mettono in contatto la donna clandestina con l’uomo italiano, proponendo a quest’ultimo una somma di denaro».

Immigrazionismo

L'immigrazionismo, una nuova ideologia? "Reflections on the Revolution in Europe" di C. Caldwell di Christopher Caldwell e di Massimo Introvigne

Uno spettro si aggira per l’Europa: la nuova ideologia arrogante, intollerante e obbligatoria dell’immigrazionismo. La parola è stata coniata dal politologo francese Pierre-André Taguieff, ma la più appassionata requisitoria che ne denuncia i misfatti ci viene ora dal giornalista statunitense Christopher Caldwell: Reflections on the Revolution in Europe. Immigration, Islam, and the West (Penguin, Londra 2009). Benché Caldwell sia il genero del giornalista conservatore convertito al cattolicesimo Robert Novak, non tutte le sue idee sono accettabili per un cattolico fedele al Magistero, ancorché il libro riveli una dichiarata simpatia per il ruolo della Chiesa e per Papa Benedetto XVI, confermata dall’editoriale molto equilibrato che ha dedicato all’enciclica Caritas in veritate – con il titolo “Mixing Morals and Money” – sul Financial Times del 10 luglio scorso. L’opera, comunque, merita di essere letta: il genere letterario è dichiaratamente polemico e dunque si tratta di un pamphlet, non di un saggio accademico, ma la documentazione è di primissima mano, la comprensione della politica europea (compresa quella italiana) è rara in un giornalista americano, e il coraggio di affrontare temi non politicamente corretti è apprezzabile. Che cos’è l’immigrazionismo? È la convinzione che l’immigrazione – più precisamente, l’afflusso di un numero d’immigrati extra-comunitari, in maggioranza musulmani, così alto da alterare in modo permanente la natura stessa della società e della cultura europea –, per quanto possa generare problemi contingenti, sia nel lungo periodo un fenomeno eticamente e culturalmente buono ed economicamente vantaggioso per l’Europa. L’immigrazionismo non è patrimonio esclusivamente dei partiti di sinistra, che lo hanno abbracciato con entusiasmo sia per ragioni ideologiche sia perché si ripromettono – attraverso l’allargamento della cittadinanza a numeri significativi d’immigrati – di trarne vantaggi elettorali. Al contrario, alcuni dei suoi più convinti sostenitori si collocano a destra: Caldwell è forse il primo giornalista non italiano a spiegare chiaramente che “uno dei politici più immigrazionisti” vive in Italia e si chiama Gianfranco Fini. C’è peraltro una differenza fra immigrazionisti di sinistra e di destra. I primi pensano che – per fare ammenda del passato coloniale e del presente neo-colonialista e imperialista – l’Europa debba tollerare dagli immigrati comportamenti che non sopporterebbe mai dai suoi cittadini. La delinquenza e perfino il terrorismo degli immigrati sono visti dall’immigrazionista di sinistra con una certa indulgenza: dopo tutto, dirà, “li abbiamo sfruttati per anni”, e se protestano in modo non precisamente compito “non è poi tutta colpa loro”. L’immigrazionista di destra invece raccoglie voti – il caso emblematico per Caldwell è quello di Nicolas Sarkozy – promettendo che, se viola la legge, l’immigrato sarà trattato con la dovuta severità dalla polizia. “Tutti devono rispettare la legge”, ripetono i Sarkozy e i Fini. D’accordo, replica Caldwell, questo è ovvio – solo l’ideologismo sfrenato dell’immigrazionista di sinistra suggerisce che qualcuno possa “non” rispettare la legge –: ma non è abbastanza. Un immigrato che non mette bombe nelle metropolitane, non brucia le automobili del quartiere e non picchia i poliziotti – ma nello stesso tempo vive e pensa secondo valori antitetici a quelli europei – è veramente una risorsa per l’Europa oppure rimane un problema? La risposta, per Caldwell, è chiara. Il livello d’immigrazione extra-comunitaria che c’è oggi in Europa non è compatibile con la sopravvivenza della cultura e della società europea così come oggi le conosciamo. E più alta sul totale degl’immigrati è la percentuale di musulmani, più grave è il problema. Sono i ritmi di crescita a suggerirgli questa conclusione. La Gran Bretagna riceve mezzo milione di nuovi immigrati extra-comunitari ogni anno. Il nucleo storico dell’Unione Europea, l’Europa Occidentale, ne accoglie annualmente 1,7 milioni. Senza contare le nascite: Caldwell fornisce l’esempio di Torino, dove gli immigrati extra-comunitari contribuiscono ogni anno alle nascite dei residenti per il 25% e alle morti solo per lo 0,2%. Ci sono già Paesi profondamente cambiati. Su nove milioni di residenti in Svezia un milione e mezzo è composto da immigrati extra-comunitari e dai loro figli. In Olanda questi ultimi sono tre milioni su un totale di residenti di sedici milioni; se le proiezioni sono attendibili saranno un terzo dei residenti nel 2050. Chi nega queste proiezioni afferma la sua fiducia dogmatica nel fatto che prima o poi anche gli immigrati si adatteranno ai secolarizzati costumi europei e cominceranno a fare meno figli. Che facciano meno figli è vero, e sta già succedendo: gli immigrati dai Paesi islamici in Italia hanno in media tre figli per coppia, meno di quanti ne hanno nei Paesi d’origine. Ma per gli italiani “originari” il tasso è di 1,3. Il tasso di natalità scende, certo. fra gli immigrati, ma la proporzione non cambia di molto perché scende anche tra i “nativi”. A meno d’imbrogliare le carte considerando “nativi”, come avviene in Francia, tutti i cittadini: fra cui ci sono anche gli immigrati che hanno appena ottenuto la cittadinanza. Inoltre ci sono gruppi etnici come quelli provenienti dal Pakistan, dal Bangladesh e dal Mali (di crescente importanza su scala europea) dove l’effetto secolarizzante del clima europeo sulle nascite non si è sostanzialmente ancora verificato. Il libro di Caldwell – il quale, sia detto per inciso, in nessun modo nega che, una volta arrivato comunque in Europa (ma il problema è se è bene che ci arrivi), l’immigrato extra-comunitario abbia pieno diritto a essere trattato come una persona – smonta tutta una serie di miti diffusi. L’immigrazionismo è sostenuto da un triplice argomento: economico, etico e sociale. L’argomento economico è dato per scontato anche da molti critici dell’immigrazione: l’Europa, a causa della denatalità, ha bisogno d’immigrati – non importa provenienti da dove –: e in ogni caso ci sono “lavori che nessun europeo vuole più fare” e che possono essere svolti solo dagli immigrati. Caldwell non potrebbe essere più d’accordo sulla premessa: è vero, l’Europa ha un drammatico problema demografico e le cifre sono ormai quelle tipiche di civiltà moribonde. Ma non è d’accordo sulle conclusioni, per tre principali motivi. In primo luogo, gli immigrati extra-comunitari, con i loro bassi salari, spesso tengono in vita temporaneamente posti di lavoro comunque destinati a sparire. L’industria tessile del Nord della Francia e una buona parte della siderurgia in Germania avrebbero perso comunque la grande maggioranza dei loro posti di lavoro alla fine del XX secolo per ragioni indipendenti dal calo demografico – a causa del progresso tecnologico e della disponibilità di prodotti a costi minori provenienti dalla Cina. Questi posti di lavoro – che non avrebbero potuto essere conservati al salario normale di un operaio francese o tedesco – sono sopravvissuti per qualche anno grazie all’impiego d’immigrati sottopagati. Ma alla fine le officine hanno comunque chiuso. In secondo luogo, i “lavori che nessun europeo vuole” sono spesso “lavori che nessun europeo vuole se il salario non è attraente”. Secondo Caldwell esistono pochissimi lavori che gli europei si rifiutano di fare “qualunque sia il salario”. La verità è un’altra: i datori di lavoro preferiscono impiegare per certi lavori gli immigrati, che costano meno. Ma non costano meno per sempre. Dopo un po’ gli immigrati irregolari diventano regolari e i precari diventano meno precari, o addirittura acquisiscono la cittadinanza. A questo punto sono diventati cittadini europei, e non vogliono più neppure loro i “lavori che nessun europeo vuole” – per lo meno, non li vogliono se il salario non è sufficientemente attraente. Citando un buon numero di economisti, Caldwell nota che ricorrere a immigrati sottopagati non è l’unico modo di risolvere i problemi tipici di alcuni settori. Il progresso della tecnologia e dell’organizzazione del lavoro possono offrire soluzioni alternative. La Danimarca e l’Olanda, che negli ultimi anni hanno effettivamente ridotto il numero degli immigrati, non hanno sperimentato le conseguenze economiche drammatiche che qualcuno aveva previsto. Ci sono settori dove effettivamente senza gli immigrati i problemi almeno a breve termine sembrano di difficile soluzione (Caldwell non cita il caso delle badanti in Italia, che sembra invece pertinente). Ma qui viene in considerazione il terzo argomento del giornalista americano. Il suo libro nega la necessità di permettere l’arrivo nell’Unione Europea di milioni d’immigrati extra-comunitari, in particolare islamici. Non è ugualmente severo sugli immigrati intra-comunitari. Su cinquecento milioni di abitanti dell’Unione Europea, cinquanta milioni sono immigrati. Ma di questi circa venti milioni sono abitanti di un Paese dell’Unione che si sono spostati in un altro. Benché, come sanno gli italiani, questi spostamenti non siano privi di problemi, Caldwell precisa che il suo libro sostanzialmente non se ne occupa. S’interessa di quei trenta milioni d’immigrati che sono extra-comunitari, e in particolare di quella percentuale di più di metà di questi (chi dice quindici, chi dice diciassette milioni: i clandestini rendono poco sicure le statistiche) che è composta da musulmani. Problemi come quello delle badanti in Italia potrebbero essere risolti dall’immigrazione intra-comunitaria senza bisogno di ricorrere a quella extra-comunitaria. Dopo tutto, il numero di badanti romene è già molto superiore a quello delle loro colleghe marocchine o tunisine senza che in Italia siano state davvero perseguite politiche specifiche al riguardo. All’argomento economico gli immigrazionisti ne affiancano uno sociale. Sempre a causa della natalità (e naturalmente del fatto che grazie ai progressi della medicina si vive più a lungo), il welfare europeo è in profonda crisi. Per dirla semplicemente, ci sono troppi pochi giovani e troppi vecchi, troppi pochi lavoratori che sostengono con i loro contributi gli enti previdenziali e troppi pensionati. In alcune zone d’Europa in cinquant’anni si è passati da una situazione dove una media di quattro lavoratori sosteneva un pensionato a una dove per ogni pensionato ci sono solo due lavoratori. Di qui la presunta idea geniale dei teorici immigrazionisti: niente paura, ci penseranno gli immigrati extra-comunitari. I due lavoratori che mancano all’appello perché ogni pensionato sia di nuovo sostenuto da quattro pagatori di contributi li importiamo dal Marocco o dal Pakistan. Ma le cose, spiega Caldwell, non funzionano così. Gli immigrati di solito hanno lavori poco remunerati, dunque pagano contributi relativamente bassi. Uno studio delle Nazioni Unite afferma che per mantenere il sistema previdenziale europeo ai livelli del XX secolo l’Unione Europea nel XXI dovrebbe importare settecento milioni d’immigrati, che forse sembreranno troppi anche ai più convinti immigrazionisti. Uno studio dettagliato sulla Spagna mostra che in cinquant’anni aumentando del 50% il numero degli immigrati extra-comunitari le entrate degli enti previdenziali crescono solo dell’8%. Questo avviene perché gli immigrati, nota Caldwell, “non sono immortali” (p. 40). Anche loro invecchiano e diventano pensionati. Inoltre, fin da subito, hanno problemi di salute di cui la previdenza sociale si deve fare carico. E hanno più figli dei “vecchi” europei. La crisi economica ha dato il colpo di grazia all’argomento sociale in favore dell’immigrazionismo: in Germania e in Francia il settanta per cento degli immigrati extra-comunitari non lavora – o perché è troppo giovane o perché è disoccupato – dunque non paga contributi, mentre costituisce un costo per il sistema del welfare. Una soluzione, per la verità, ci sarebbe, e qualcuno l’ha anche seriamente sostenuta, senza neppure farsi dare del nazista: considerare gli immigrati “lavoratori ospiti” e rimandarli a casa quando hanno finito di lavorare. Gli immigrati cioè dovrebbero “offrire decenni della loro vita e decine di migliaia di euro in contributi per lavorare e mantenere in vita il sistema europeo del welfare per poi tornarsene gentilmente nel Terzo Mondo a vivere l’età della pensione in povertà, proprio nel momento in cui dovrebbero recuperare qualcosa dei loro contributi” (p. 40). La soluzione provocherebbe tensioni tali da non potere essere presa davvero in considerazione da nessuno. E manderebbe anche alla rovina qualunque argomento etico degli immigrazionisti. In effetti, anche se l’immigrazione extra-comunitaria massiccia non è un buon affare né per l’economia né per il welfare, si dice che è un imperativo morale. Lo affermano politici di sinistra e (talora) di destra, e anche autorità ecclesiastiche. Gli argomenti immigrazionisti per sostenere questa necessità etica sono, nota Caldwell, piuttosto confusi e spesso contraddittori. Si afferma che questo è il contributo moralmente obbligatorio dell’Unione Europea – anche come penitenza per i peccati veri o presunti del colonialismo – per risolvere i problemi della fame del mondo e del sottosviluppo. Ma non c’è nessuna prova convincente che sia meno costoso per l’Europa accogliere milioni d’immigrati extra-comunitari piuttosto che destinare le stesse risorse ad aiutarli nei loro Paesi d’origine. Ci sono anzi fondati indizi del contrario. Chi afferma che molti immigrati sono ottimi candidati alla cittadinanza ci racconta spesso quanti geni dell’informatica e bravi medici vengono dai Paesi del Terzo Mondo. Ma non riflette sul costo etico costituito dal fatto che così facendo si sottraggono ai Paesi d’origine proprio quelle élite che sarebbero loro indispensabili per uscire dal sottosviluppo. Un argomento molto usato anche in Italia si riferisce al diritto d’asilo. Tuttavia questo diritto è di rado definito in modo rigoroso, e talora è ridotto a una semplice farsa. Chiunque non si trovi bene in un Paese non democratico o sia vittima di gravi sperequazioni economiche avrebbe diritto a chiedere asilo politico – in una parola, la stragrande maggioranza degli abitanti del Terzo Mondo avrebbe questo diritto. Chi parla di multiculturalismo come elemento essenziale della democrazia europea dovrebbe, nota Caldwell, riflettere su questo fatto: la maggioranza dei cittadini dell’Unione Europea nei sondaggi e anche nelle elezioni si dichiara contraria a quello che normalmente s’intende per multiculturalismo, e disapprova le dimensioni dell’immigrazione extra-comunitaria (quando non ne disapprova il principio in genere). Nonostante questa opinione maggioritaria dei cittadini europei l’immigrazione extra-comunitaria massiccia continua. Il fatto che il parere della maggioranza degli elettori europei sia ignorato non sarà per caso il vero problema della democrazia? Una parte quantitativamente importante – ma meno originale, così che mi ci soffermo di meno – del volume di Caldwell riguarda il problema specifico posto dall’immigrazione islamica. Si tratta di pagine molto equilibrate. Caldwell non condivide in integro le opinioni di Oriana Fallaci (1929-2006) e di altri critici accesi dell’immigrazione islamica. Né propone di ridurre il numero d’immigrati musulmani in Europa a zero con discriminazioni che negherebbero i caratteri specifici dell’ethos europeo e risulterebbero oggettivamente odiose. Ma meno ancora si fida delle rassicurazioni dei vari Tariq Ramadan (un personaggio di cui, e non è il primo né il solo, sottolinea le ambiguità) o della famosa affermazione del presidente George W. Bush secondo cui “l’islam è una religione di pace” e i fondamentalisti sono pochi eretici, come sarebbe provato dal fatto che gli immigrati musulmani negli Stati Uniti, a differenza di molti loro omologhi in Europa, sono nella loro stragrande maggioranza ostili alla violenza e al terrorismo. Certamente la via statunitense all’assimilazione degli immigrati per ragioni storiche e culturali funziona molto meglio di quella europea, ma per quanto riguarda i musulmani americani di origine straniera (escludendo i “musulmani neri” che sono un fenomeno nato negli Stati Uniti e che non c’entra con l’immigrazione) questi sono circa due milioni dispersi in tutto il vasto territorio dell’Unione. Bisognerebbe testare di nuovo l’affermazione del presidente Bush – che, beninteso, rispondeva a una necessità retorica comprensibile dopo l’11 settembre 2001 –, afferma Caldwell, in un’America che avesse proporzionalmente alla sua popolazione una percentuale di musulmani simile a quella della Francia: quaranta milioni, concentrati in gran parte in alcune zone di alcune città principali. Forse gli esiti sarebbero diversi. Certamente – Caldwell è d’accordo – ci sono molti islam, e alcuni sono meno lontani dai valori prevalenti in Europa di altri. Ma se da questa premessa – corretta – si arriva alla conclusione che non esistono caratteristiche specifiche dell’islam si cade nel più completo relativismo, forse di moda un un contesto culturale postmoderno ma privo di senso. Esistono gli islam ma esiste anche l’islam. Che è difficile assimilare alla cultura europea su punti fondamentali che riguardano i rapporti fra fede e ragione, fra religione e violenza, fra maggioranze e minoranze religiose, fra uomini e donne. Il catalogo ricorda gli interventi sul tema di Benedetto XVI: e Caldwell li cita esplicitamente. L’autore non esclude che nel lunghissimo periodo l’assimilazione (termine che l’autore preferisce a “integrazione”, espressione oggi ambigua perché per molti immigrazionisti significa accogliere i musulmani senza chiedere loro nessuna concessione o chiarimento sui punti citati, “purché rispettino le leggi”) di milioni di musulmani in Europa possa avere qualche successo. Ma considera questo esito allo stato improbabile, per due ragioni. La prima ragione è che nessuna civiltà nella storia è riuscita a fronteggiare senza esserne distrutta l’arrivo in così poco tempo di così tante persone portatrici di una cultura e di una religione sia radicalmente diverse sia forti. Diverso era il caso dei barbari, che portavano in Europa una cultura debole; o degli irlandesi emigrati nel XIX secolo negli Stati Uniti il cui cattolicesimo era diverso dal protestantesimo maggioritario in America ma non così radicalmente diverso come è l’islam rispetto all’ethos europeo contemporaneo. La seconda ragione è che per difendere la propria cultura e assimilare gli immigrati bisogna, almeno, volerlo. L’Europa oggi, nota Caldwell, è talmente immersa nel relativismo da non avere affatto le idee chiare su quale cultura voglia difendere e proporre agli immigrati. Sembra che le reazioni si producano solo in un campo, che comprende il femminismo e i diritti degli omosessuali. È a partire da questi temi che ogni tanto ci sono degli immigrazionisti che cambiano idea. In Olanda ex-immigrazionisti pentiti hanno deciso di proporre ai nuovi immigrati i “valori olandesi” riassunti in un video che devono obbligatoriamente vedere. Vi si vedono, tra l’altro, due omosessuali che si scambiano effusioni in pubblico e una bagnante in topless. Non è certo che la maggioranza degli olandesi si riconosca in questi valori. Per contro, è certissimo che il video confermerà gl’immigrati musulmani nel loro sentimento di superiorità rispetto all’Occidente decadente. In altri Paesi i corsi sulla cittadinanza proposti agl’immigrati esaltano il diritto all’aborto. Qualunque cosa si pensi del topless, dell’aborto e del riconoscimento delle unioni gay – e può darsi che le idee di Caldwell qui non coincidano esattamente con quelle del Papa – è evidente che non si tratta di temi intorno a cui una persona sensata può pensare di costruire un’immagine “forte” dell’Europa o delle sue radici, o di rabbonire immigrati musulmani – già di per sé convinti dell’assoluta superiorità dell’islam. È questa debolezza intrinseca dell’Europa che giustifica il pessimismo che pervade l’opera di Caldwell e che spinge il carrozzone immigrazionista. Le reazioni anche recentissime di elettori un po’ in tutta Europa – che il giornalista americano non demonizza (per una volta, tra l’altro, un illustre rappresentante della stampa estera non considera né fascisti né razzisti il governo italiano o la Lega, anzi ne comprende molte ragioni) – mostrano che ci sono soprassalti di buon senso. Ma per trasformare questi soprassalti in politica occorre un progetto culturale capace di convincere gli europei che l’immigrazionismo ha torto sul piano storico, economico e sociale. E non ha neppure molte buone ragioni per presentarsi come superiore a critici come Caldwell dal punto di vista morale.